Viaggio nella Lega al tempo del territorio che scivola sotto i piedi
La faccenda è semplice e complicata allo stesso tempo. Se ci si attiene a una lettura complessiva, senza farsi condizionare dagli umori degli scontenti che da via Bellerio hanno cominciato a lanciare verso l'esterno messaggi simili a missili terra-aria, ciò che sta accadendo all'interno del movimento di Umberto Bossi riguarda l'ormai nota dialettica tra “Lega di lotta” e “Lega di governo”. E cioè la necessità di fare sponda fra il lavoro istituzionale, di governo, nazionale, e quello territoriale.
La faccenda è semplice e complicata allo stesso tempo. Se ci si attiene a una lettura complessiva, senza farsi condizionare dagli umori degli scontenti che da via Bellerio hanno cominciato a lanciare verso l'esterno messaggi simili a missili terra-aria, ciò che sta accadendo all'interno del movimento di Umberto Bossi riguarda l'ormai nota dialettica tra “Lega di lotta” e “Lega di governo”. E cioè la necessità di fare sponda fra il lavoro istituzionale, di governo, nazionale, e quello territoriale e più direttamente legato al movimento, agli amministratori locali, alle associazioni, alla base e all'elettorato del Carroccio. Un equilibrio non più facile da mantenere, visto che gli ortodossi temono come la peste la “romanizzazione” del partito, mentre chi è a Roma ha scoperto che governare a lungo, portare a casa risultati e renderli comprensibili anche al resto degli italiani è più complesso di quanto ci si poteva immaginare. E se prima, ogni volta che Calderoli faceva una boutade e poi Bossi interveniva per smussare, gli osservatori minimizzavano, strologavano sul solito “sono furbi, è solo un gioco delle parti”, ora non è più così.
Il Foglio ha colto per primo che il pasticciaccio per la nomina di Aldo Brancher, che ha portato il “Capo” a fare un comizio inedito a Pontida, pieno di messaggi minacciosi ma ai più indecifrabili, era solo la punta d'iceberg di sommovimenti interni che si trascinano da tempo. E cioè a una divisione di sfere d'influenza, che poi corrispondono a feudi territoriali e a dirigenti di partito legati al proprio territorio e che fanno spesso “degli assoli”, tranne unirsi poi di nuovo, compatti (verso l'esterno) quando il terreno diventa troppo friabile. Secondo molti militanti e dirigenti della Lega interpellati in un'inchiesta che dalla vetta della piramide punta al basso, questo è “il momento più delicato” del movimento di Bossi, perché le difficoltà che hanno i vincitori sono estremamente più difficili da sormontare di quelle che hanno gli sconfitti. Soprattutto se la dinamica “Lega di lotta e di governo” si incrina. E si crea una frattura, momentanea magari, fra chi deve difendere quelle che in gergo leghista si definiscono “istanze del territorio” e chi deve continuare a fare mediazioni, compromessi, tira e molla all'interno del governo.
Allora ecco perché più persone che vivono gomito a gomito con Bossi e i suoi colonnelli in via Bellerio ci hanno detto che il pasticcio Brancher, ha evidenziato alcune formazioni (correnti?) già presenti da tempo, che vedono Roberto Calderoli più vicino a Davide Caparini, presidente della commissione Affari regionali della Camera, che ha costruito un immenso serbatoio elettorale in Val Camonica e a Brescia è riuscito a far eleggere il figlio di Bossi, Renzo; a Giancarlo Giorgetti, per anni definito il delfino di Bossi e che si è ritagliato posizioni di potere quasi inalienabili, e a Stefano Stefani, orafo vicentino che ha garantito molti finanziamenti al partito, presidente della commissione parlamentare Affari esteri, che si occupa nel partito dei media padani. Una sfera d'influenza non sempre in sintonia con quella formata dai pretoriani di Bossi: i capigruppo parlamentari Fabrizio Bricolo e Marco Reguzzoni, affiancati da Rosy Mauro.
Il confine è labile, non è facile dire chi sta con chi, ma gli equilibri all'interno del Carroccio paiono alterati, e sostanzialmente diversi dall'immagine pubblica di compattezza sempre ribadita. E infatti ieri in via Bellerio si è tenuto il consiglio federale, presenti tutti i dirigenti e i ministri, probabilmente per serrare le file. E' durato un paio d'ore, e alla fine neanche una parola con i giornalisti. Qualcuno si spinge addirittura a dire che c'è stata una sorta di congiura per cercare di imbalsamare il potere di Bossi, altri affermano apertamente che è iniziata la guerra di successione. Il che è un po' avvilente per i militanti della base che speravano invece nella gurra di secessione. Esagerato? Si tratta di siluri confezionati?
Roberto Calderoli vuole vincere la sua partita con Roberto Maroni, che lavora sotto traccia, con poche sbavature, dedito al suo ruolo istituzionale e amato dalla base perché sa coniugare bene pancia e testa, demagogia e pragmatismo, promesse e realizzazioni? Più che le dietrologie, è necessario capire se la doppia frattura – quella verticale fra movimento e governo e quella orizzontale fra i vertici – corrisponda anche a una frattura territoriale. E per farlo, con un partito di straordinario radicamento come la Lega, bisogna perlustrare il territorio. Il nostro punto di partenza è allora proprio Varese, dove nacque la prima sezione, “la più grande di tutte” dicono i leghisti varesini. Che conta su 120 militanti e 400 sostenitori. Dove ha ancora la tessera Roberto Maroni, ma anche l'avvocato Andrea Mascetti, movimentista, proveniente da quell'area della destra culturale, “dei popoli”, che è una delle matrici storiche del leghismo varesino. Secondo gli addetti ai lavori, è proprio lui ad aver ricevuto una bella doccia fredda a Pontida, quando Bossi ha parlato di alcuni leghisti “del Lago Maggiore” che hanno influenze negative e che ora cercano di avere delle poltrone. “Nessuno ha capito cosa volesse dire”, spiega al Foglio il nuovo segretario della sezione cittadina della Lega, Carlo Piatti, 31 anni, avvocato, atteggiamento pacato ma parole che pesano come macigni: “Ma sì, abbiamo capito che aveva come obiettivo l'associazione culturale Terra Insubre, di cui alcuni membri come Andrea Mascetti sono nostri militanti”. Sul riferimento al “poltronismo” pesa l'ombra di un ente di cui nessuno ha capito ancora l'utilità: l'ente Regio Insubrica. Ufficialmente un ente di rappresentanza transfrontaliero diretto dagli svizzeri al cui interno ci sono anche i leghisti. Come il presidente della provincia Dario Galli, che non deve piacere tantissimo a Bossi, visto che è stato retrocesso dal grado di parlamentare a quello di amministratore, forse perché appartiene a quella corrente movimentista che quando sente parlare dell'Unità d'Italia dà di matto e non ha ancora capito le dinamiche della Lega di governo, ci hanno detto alcuni militanti.
“Un mistero”, scuote la testa Carlo Piatti, che è reduce da un'insolita vicenda: l'elezione nel novembre scorso a segretario della sezione di Varese, in cui ha dovuto battere un competitor. “Di solito c'è sempre un solo candidato”, sorride lui, che concorda con Maroni sulla definizione della Lega come un partito leninista. “Siamo finiti a 56 voti contro 42, dicono che io assomigli a Maroni e lui a Borghezio”, scherza. Il suo competitor, Emanuele Monti, 25 anni, in Lega sin da quando era adolescente, che come sindaco vorrebbe uno come l'ex sceriffo Gentilini di Treviso, ha preso bene la sconfitta. E sui conflitti dice: “Non bisogna fossilizzarsi sulla Lega di oggi, questa è cronaca, dovremmo pensare a come sarà il nostro partito fra cinque anni: un partito del territorio, del nord. E poi le guerre si facevano anche agli esordi. Giuseppe Leoni (uno dei fondatori della Lega lombarda) racconta sempre che una volta c'era un dissidente in sezione che venne messo in un sacco della spazzatura e fatto rotolare giù dalle scale”, ride. “In realtà i conflitti interni alla sezione sono dovuti soprattutto a questioni personali, bagatelle”, aggiunge ancora Carlo Piatti, “oppure al fatto che molti arrivano in sezione per puntare a una nomina, ma siccome nel nostro partito la militanza si ottiene in base all'assiduità, la selezione è naturale”.
A Varese, terra di Bossi, Maroni e Giorgetti, i militanti della base giudicano il pasticcio Brancher con molta durezza. Considerano, a torto o a ragione, Calderoli troppo vicino al Pdl. E in sezione, quando si parla del futuro della Lega, dopo Bossi, hanno in mente un solo nome: Maroni. “Io però cerco di essere pacato, faccio compromessi e quando raccolgo una voce non l'ascolto”, aggiunge ancora il segretario cittadino. “Se ne ricevo due dico boh, alla terza mi informo. E su Calderoli che ha fatto lo sgambetto a Bossi e che vorrebbe addirittura fondere la Lega all'interno del Pdl ne ho sentite due, perciò sono perplesso, mi sembra eccessivo. L'obiettivo della Lega, almeno qui, è superare il Pdl e liberarsene. Semmai abbiamo un altro problema: preparare i militanti perché quando un partito cresce, nomine e incarichi devono essere fatti su base meritocratica. Certo, anche a Varese qualche problema c'è stato. Come quando si doveva decidere se l'ex sindaco dovesse fare il secondo mandato e il segretario cittadino della Lega, contrario, ha appeso una coccarda nera fuori dalla sezione, che poi è stata commissariata. O quando poco tempo fa un assessore del comune di Malnate, Barbara Mingardi, ha scritto su Facebook “Con la bandiera tricolore mi pulisco il culo” e poi si è dimessa. “Ha deviato dalla linea del partito”, sottolinea Piatti. E' andata a finire che i consiglieri leghisti avrebbero dovuto uscire dalla maggioranza, ma invece si sono divisi fra sostenitori e detrattori dell'assessore. Così anche la sezione della Lega di Malnate è finita commissariata.
Un piccolo, localissimo esempio di ciò che Roberto Castelli ha definito “mancanza di spirito di squadra”. In realtà alla base della Lega di Varese l'impressione è che poco importi sapere chi ha sbagliato nel caso Brancher. Ciò che preme è che non venga tradita la Lega di lotta. Ed è qui che c'è al momento la vera difficoltà, a giudicare dalla fatica che fa il sindaco della città, Attilio Fontana, a guidare la sommossa dei sindaci contro i tagli di Tremonti e del governo rappresentato anche da Bossi, senza andare a sbattere. Ma è probabile che la frattura fra l'ala movimentista e quella istituzionale si intersechi con quella ai vertici, tra colonnelli: se è vero, come ci hanno raccontato, che i figli minori di Bossi hanno trovato qualche resistenza, diciamo così, quando hanno chiesto la tessera del partito.
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