Il Cav. media fra Tremonti e Formigoni. Resta l'incognita Fini
Il “ghe pensi mi” per ora funzionicchia. Silvio Berlusconi pone le basi per ricostruire un clima disteso con il Quirinale grazie alle dimissioni di Aldo Brancher e alla diplomazia di Gianni Letta. Contemporaneamente, incontrato Giulio Tremonti, il premier sembra anche avere trovato (così pare) il modo di mettere pace tra il ministro dell'Economia e l'asse delle regioni.
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Il “ghe pensi mi” per ora funzionicchia. Silvio Berlusconi pone le basi per ricostruire un clima disteso con il Quirinale grazie alle dimissioni di Aldo Brancher e alla diplomazia di Gianni Letta. Contemporaneamente, incontrato Giulio Tremonti, il premier sembra anche avere trovato (così pare) il modo di mettere pace tra il ministro dell'Economia e l'asse delle regioni incassando nello stesso giorno, sulla manovra, un riconoscimento non scontato dalla Confindustria. Una mossa che contribuisce a placare sia la fronda dei governatori guidata da Roberto Formigoni sia il nervosismo che da alcune settimane si respirava nei settori meno romanizzati della Lega leninista di Umberto Bossi.
Ma da oggi al Cav. tocca affrontare il complesso dossier Gianfranco Fini, un tema su cui – dicono – il premier non ha le idee chiare. Berlusconi oscilla tra il pragmatismo che gli suggerisce Letta e la tentazione di assecondare il proprio istinto umorale. Non è escluso che i cofondatori si incontrino questa settimana, in un faccia a faccia aperto a ogni esito, un vertice dal quale con le stesse probabilità potrebbero uscire abbracciandosi come prendendosi a cazzotti. Ma sarebbe l'ultima volta, almeno da compagni di partito.
E' previsto per domani un giro di consultazioni del Pdl a Palazzo Grazioli. La maggior parte dell'entourage berlusconiano preme sul Cav. affinché telefoni all'ex leader di An e sciolga l'impasse. “Che sia pace o guerra, devono essere direttamente loro a decidere le tappe del decorso”, confermano dal nido delle aquile berlusconiane. Parole condivise dal campo finiano. Ma non è chiaro che cosa voglia fare il presidente del Consiglio; così ognuno azzarda la propria spericolata previsione alimentando uno strano clima di suspense nel Palazzo. Anche Fini aspetta, considera la questione Brancher “un grosso problema risolto” (forse un segno di appeasement?) e lascia che sia il Cav. a muovere. Ieri, in privato, Fini sorrideva delle ricostruzioni giornalistiche che lo descrivono pronto ad allearsi con Casini, Rutelli e gli scontenti del Pdl: “A questo governo non si farà mai mancare la fiducia”. Una promessa e una minaccia. Come dire: non esiste l'ipotesi di una crisi pilotata o indotta. Non ci saranno alibi.
Gli uomini più fedeli del presidente della Camera, dopo le polemiche dei giorni scorsi, inviano messaggi di pace individuando nella vicenda Brancher e nel vertice con Tremonti dei segnali importanti di reattività. Lo dice Italo Bocchino (che sponsorizza un divorzio consensuale da Berlusconi) e lo conferma anche Silvano Moffa, uno dei finiani più rispettati a Palazzo Grazioli: “Il caso Brancher è chiuso – dice – Il gesto delle dimissioni gli fa onore. Adesso è necessario che Fini e Berlusconi trovino un punto di equilibrio. C'è bisogno di una intesa che poggi su un patto di fine legislatura e su una robusta iniezione di democrazia nel Pdl”. L'impressione è che la fase degli intermediari sia finita: il Pdl è di fronte a un tornante decisivo, dovranno imboccarlo da soli i due più diretti interessati. “Basta che non tirino dritto schiantandosi entrambi”, ironizza qualcuno nel Pdl.
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