Lettere e bandiere

Mariarosa Mancuso

A volte ritornano. E mettono subito le mani avanti. Non siamo né reduci né nostalgici, fanno sapere le menti pensanti dietro “Alfabeta 2”, in edicola e in libreria a oltre vent'anni dalla prima serie (uscì dal 1979 al 1988, per 114 numeri, fu acclamata dall'intellettuale piuttosto organico Romano Luperini come “l'ultima rivista del Novecento italiano, l'ultimo nucleo che tenne acceso il dibattito letterario, politico e culturale di quegli anni”).

    A volte ritornano. E mettono subito le mani avanti. Non siamo né reduci né nostalgici, fanno sapere le menti pensanti dietro “Alfabeta 2”, in edicola e in libreria a oltre vent'anni dalla prima serie (uscì dal 1979 al 1988, per 114 numeri, fu acclamata dall'intellettuale piuttosto organico Romano Luperini come “l'ultima rivista del Novecento italiano, l'ultimo nucleo che tenne acceso il dibattito letterario, politico e culturale di quegli anni”). Indiani nella riserva, o giapponesi nella giungla già allora. Figuriamoci adesso, dopo che Aldo Busi – scrittore dotato se mai ne abbiamo avuto uno, fa testo il “Seminario sulla gioventù” – va all'Isola dei Famosi. Il progetto è chiaro nella sua semplicità, e già bacucco prima di cominciare: gli intellettuali devono far da bandierine segnavento (malpensanti e velisti astenersi, sulla variabilità dei venti), da segnalatori di allarmi e da indicatori di nuove tendenze. Serve “un pronto intervento culturale”. Va ribadito il valore inattuale dell'intelligenza.

    Vivendo tra cinema e libri, ed essendoci annoiati parecchio
    con certi titoli da Premio Strega, abbiamo sfogliato il primo numero con curiosità. In cerca appunto di intelligenze al lavoro, e di qualche suggerimento per le prossime letture. Siamo ancora convinti che le bandiere segnavento non possano trascurare il motore primo che spinge verso i libri: il piacere di una storia avvincente (chi dice il contrario mente sapendo di mentire, e ha allevato una generazione più propensa a scrivere brutti libri che a leggerne di belli). Abbiamo trovato però le articolesse, e anche in parte gli autori, che ci avevano tenuti lontani da Alfabeta prima serie. Solo Carlo Formenti può infatti ricordare con orgoglio “il rigore dell'argomentazione che si sposava con un linguaggio e uno stile chiari e comprensibili”. Non era esattamente così: all'epoca andava di moda parlar di Wittgenstein e di Lacan come se chiunque fosse un piccolo Wittgenstein o un piccolo Lacan.

    Il modello New York Review of Book era poco praticato da semiologi, strutturalisti e picconatori del Gruppo 63. Gli “agili articoli di otto cartelle” proprio agili non erano, e il vizio resta.
    Sono passati vent'anni, e a parte un lamento generalizzato sul fatto che allora esisteva una cultura di sinistra, non un giorno sembra essere trascorso. Gli unici articoli senza troppa polvere sono i contributi di Paolo Bertetto sul cinema americano nostro contemporaneo e quello di Giacomo Sartori sulle nonne e i bambini che affliggono i romanzi italiani. Verissimo, ma si cercherebbe invano un titolo o il nome di uno scrittore. Non fa nomi e cognomi neppure Silvia Ballestra, discutendo “L'industria del libro di massa”. Chi sarebbero le giovani promesse stritolate e formattate in nome del mercato? A noi capitano solo giovani promesse bisognose di editing.

    Consola il riquadretto delle classifiche, compilato in base al suggerimento di Alberto Arbasino: esistono i ristoranti affollati e i ristoranti dove si mangia bene, perché la stessa cosa non dovrebbe valere per i libri? (che costano assai meno dei ristoranti, per questo forse sono considerati un divertimento da sfigati). Consolazione breve: sono le classifiche di Pordenonelegge su cui molto si polemizzò l'anno scorso, perché la lista dei votanti era largamente sovrapponibile a quella dei votati. Bella idea però, assieme a un altro suggerimento arbasiniano. Prendere a modello per la critica letteraria i discorsi sul calcio, puntuali e appassionati: chi era in campo, chi ha giocato bene, chi non meritava neppure di stare in panchina.