Due diocesi in affanno
Perché è così delicata e lenta la scelta dei nuovi vescovi a Milano e Torino
L'arrivo alla guida della “fabbrica dei vescovi” del cardinale franco canadese Marc Ouellet, ratzingeriano di ferro fin dai tempi della collaborazione alla rivista Communio fondata in alternativa alla rahneriana Concilium, mescola le carte in tavola in vista delle due nomine italiane più attese: i nuovi arcivescovi di Torino e Milano.
L'arrivo alla guida della “fabbrica dei vescovi” del cardinale franco canadese Marc Ouellet, ratzingeriano di ferro fin dai tempi della collaborazione alla rivista Communio fondata in alternativa alla rahneriana Concilium, mescola le carte in tavola in vista delle due nomine italiane più attese: i nuovi arcivescovi di Torino e Milano. Benedetto XVI ha preso dal cardinale Giovanni Battista Re, ex prefetto ai vescovi, capofila della scuola “bresciana” di derivazione montiniana, il dossier delle due prestigiose diocesi e in questi giorni lo consegna nelle mani di Ouellet, porporato vergine agli ambienti della curia romana e ai diversi interessi che ruotano attorno alle due ricche diocesi del nord.
Fino a qualche settimana fa tutto sembrava deciso. Il cardinale Tarcisio Bertone, piemontese che conosce da vicino la realtà di Torino e che non è alieno al mondo curiale-finanziario milanese (il suo primo discorso davanti al gotha della finanza bianca avvenne tre anni fa alla Ca' de Sass, “sancta sanctorum” della Cariplo, oggi di Intesa-Sanpaolo) aveva già fatto intendere le sue preferenze per sostituire Severino Poletto e Dionigi Tettamanzi. In questi giorni il vercellese vescovo di Alessandria, Giuseppe Versaldi, avrebbe dovuto sostituire Poletto mentre Gianfranco Ravasi, brianzolo, presidente del pontificio consiglio della Cultura, luminare delle sacre scritture e divulgatore della fede capace di farsi ascoltare anche dagli uditori meno vicini alla sensibilità cattolica, teologo cresciuto alla scuola del cardinale Carlo Maria Martini quando questi insegnava al Pontificio istituto biblico, era il nome sulla bocca dei più per salire sulla cattedra di Ambrogio dopo Tettamanzi.
L'impressione è che l'arrivo di Ouellet abbia modificato le cose. Anzitutto la nomina del successore di Poletto è slittata a dopo l'estate. Il candidato principe resta Versaldi, seguito a ruota dagli altri desiderata di Bertone: il nunzio in Italia Giuseppe Bertello, il vescovo di Ivrea Arrigo Miglio, e come ultima chance il vescovo di Vicenza, di scuola ruiniana, Cesare Nosiglia. Nelle ultime settimane, però, questi nomi hanno fatto parlare troppo, e troppo aspramente, le diverse anime della chiesa torinese. Tanto che i continui borbottii da Torino sono arrivati a Roma. E il risultato è che il Papa ha preso tempo vagliando anche altre ipotesi: tra queste quella di un outsider, un candidato non piemontese come potrebbe essere il rettore uscente della Gregoriana, il canonista gesuita Gianfranco Ghirlanda. Stesso discorso per Milano dove però, visti i tempi più lunghi, l'influenza di Ouellet dovrebbe essere più importante. Tanto che già si ipotizzano candidati oltre a Ravasi: il vescovo di Crema Oscar Cantoni e l'arcivescovo di Pisa Giovanni Paolo Benotto.
Torino e Milano vengono da anni difficili. La gestione di Poletto a Torino (dal 1999) e quella di Carlo Maria Martini prima e Tettamanzi poi a Milano (dal 1979 il primo, dal 2002 il secondo) hanno visto i seminari svuotarsi, i preti diminuire, la pratica religiosa in calo. Colpa dei vescovi? Difficile rispondere. Secondo molti oggi servirebbe un segnale da Roma, con la nomina di due pastori che sappiano far tornare le due chiese ai fastosi anni di Maurilio Fossati (vescovo di Torino fino al 1965) e dei grandi vescovi milanesi quali furono Andrea Carlo Ferrari, Alfredo Ildefonso Schuster e Giovanni Colombo. Quale il loro portato? Seppero più di altri mediare l'incontro e i conflitti tra le forze vive del territorio e la curia-istituzione. A Torino i grandi “santi sociali” – don Bosco, Cottolengo, Cafasso, Murialdo, Faà di Bruno – fioriscono quando la dialettica con la curia non è esasperata. La stessa cosa accade a Milano, dove l'ambrosianità ecclesiale diviene modello per il mondo quando le forze territoriali dialogano con la curia senza chiusure. Ai tempi di Carlo Borromeo la tensione era tra la riforma della diocesi e l'autonomia degli ordini religiosi: spine nel fianco e insieme particolarità valorizzate. Oggi il disturbatore principe della curia istituzione è Comunione e liberazione.
Torino, a differenza dell'affaristica Milano, ha una caratteristica in più. E' la città del pensiero debole, culla dei Bobbio e dei Vattimo. Negli ultimi anni il dialogo con la chiesa è stato molto povero. La cultura ne soffre, e anche la città. Il nuovo vescovo deve tornare a proporsi autorevolmente ai custodi di questo pensiero.
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