Consigli prevacanzieri al Cav.

Alessandro Giuli

Prima di azzuffarsi nuovamente con Gianfranco Fini, prima di trasformare la loro reciproca, fredda collera in un tafferuglio senza ritorno, Silvio Berlusconi dovrebbe rivolgere a se stesso la più classica delle domande: cui prodest? A chi giova. Ma non è soltanto una questione di utile immediato, in mezzo c'è pure il dovere di non contribuire a materializzare ciò che il nemico vorrebbe per lui.

    Prima di azzuffarsi nuovamente con Gianfranco Fini, prima di trasformare la loro reciproca, fredda collera in un tafferuglio senza ritorno, Silvio Berlusconi dovrebbe rivolgere a se stesso la più classica delle domande: cui prodest? A chi giova. Ma non è soltanto una questione di utile immediato, in mezzo c'è pure il dovere di non contribuire a materializzare ciò che il nemico vorrebbe per lui.

    Ecco, il Cav. dovrebbe prendere Repubblica,
    aprirla alla pagina della politica e utilizzare i retroscena parlamentari del quotidiano di CDB come l'unità di misura della propria sagacia politica. Ora, Rep. scrive tutti i giorni che il premier e il presidente della Camera sono lì lì per divorziare, sgambettarsi, scazzottarsi; certo si odiano e come minimo nulla tornerà mai normale e sereno tra loro. C'è del vero, ma non si fatica a intravedere quel che gli anglomani chiamano wishful thinking (in Questura si direbbe: istigazione alla violenza). Insomma il nemico vuole vedere scorrere il sangue, fa gli occhi dolci a Fini quel tanto che basta a fargli indovinare intorno a sé simpatie generalizzate ove mai decidesse di farsi esplodere a Palazzo Grazioli; mentre l'unico Berlusconi che Rep. possa amare, va sans dire, è il Berlusconi investito dall'esplosione finiana o dai petardi delle procure o dagli sputi delle plebi manettare dipietrificate.

    Più volte su questo giornale abbiamo ricordato al Cav.
    che una faccia cattiva indossata troppo a lungo, oltre a invecchiare la pelle, rappresenta anche la confessione di una paura. Perché dunque perseverare, applicando su di sé una maschera nera che viene allegata ogni mattina in edicola dai giornali antipatizzanti? Si fidi piuttosto, il Cav., di Giorgio Napolitano, il quale per mitezza costitutiva e dovere istituzionale non fa che cercare per sé e per lui lacerti di tranquillità e promesse di pacificazione.

    Non dimentichi poi, il Cav., che il seduttore è lui e non Fini. La folla dei sedotti è femmina come la Fortuna: materia sensibile, passiva, da battere e corrispondere d'amorosi sensi. Ma se la folla non ha più occasione di farsi corteggiare, se Berlusconi si rifugia nell'esercizio dell'oratoria comiziale indoor in mezzo a bottegai plaudenti, sfuggendo alla televisione e alla piazza e al Parlamento, al limite concedendosi alla ribalta internazionale, finisce che l'amour fou poi si raffredda. Ed è in un clima del genere che Fini e i suoi seguaci – più cerebrali, più metodici, forse noiosi ma inarrivabili come sindacalisti della propria causa – guadagnano luce e tonicità, facendo temere al Cav. d'essere divenuto perfino obsolescente.

    E' dal mirabile discorso d'insediamento al governo, nel momento della fiducia ricevuta dalle Camere dopo la strepitosa vittoria elettorale del 2008, che s'aspetta invano il ritorno del Berlusconi capace di rendere pop e stilnovista il lavoro del bivacco di manipoli parlamentari; e di trattenere al contempo certe, diciamo così, inclinazioni alla dismisura nella propria narrativa privata. Da allora, sopra tutto nei rapporti con un cofondatore nemmeno tanto tagliato per fare il sicario o la vedova fintamente inconsolabile del berlusconismo, il Cav. non ha fatto altro che assecondare lo stato d'animo irradiato da Repubblica e affini. Lui che è il più facondo creatore di stati d'animo dacché è stata inventata la televisione. Questo Repubblica non glielo ricorderà mai, altrimenti si romperebbe lo specchio bugiardo nel quale il premier vede respinta e sminuzzata la sua immagine. Sicché glielo diciamo noi.