Perché questa potrebbe essere l'ultima Spagna
Questa può essere l'ultima Spagna. Ha vinto la coppa del mondo e poi si giocherà altro. Perché il punto più alto della storia del pallone iberico coincide con l'ipotesi della sua fine. Guarda la rosa di questa Nazionale: Gerard Piqué, catalano; Carles Puyol, catalano; Sergio Busquets, catalano; Cesc Fabregas, catalano; Andres Iniesta, catalano; Xavi Hernandez, catalano; Pedro Rodriguez, catalano; Victor Valdes, catalano. Otto su 23. Otto che potrebbero non giocare più nella Spagna.
Questa può essere l'ultima Spagna. Ha vinto la coppa del mondo e poi si giocherà altro. Perché il punto più alto della storia del pallone iberico coincide con l'ipotesi della sua fine. Guarda la rosa di questa Nazionale: Gerard Piqué, catalano; Carles Puyol, catalano; Sergio Busquets, catalano; Cesc Fabregas, catalano; Andres Iniesta, catalano; Xavi Hernandez, catalano; Pedro Rodriguez, catalano; Victor Valdes, catalano. Otto su 23. Otto che potrebbero non giocare più nella Spagna. Perché il pallone che si mescola alla politica racconta che il progetto di una Catalogna indipendente c'è da un sacco di tempo, ma non è mai stato così vicino a realizzarsi come lo è ora. Calcio anche qui.
Calcio come eredità popolare di Joan Laporta, presidente del Barcellona fino a poche settimane fa e oggi ufficialmente diventato uno dei futuri leader dell'indipendentismo catalano. Catalogna e basta. Una bandiera, una lingua, un popolo, una Nazionale. Per Laporta è un obiettivo neanche troppo mascherato. L'ha detto tante volte che questo sarebbe il suo sogno, l'ha fatto capire anche con qualcosa più delle parole: quando il Barça andò a giocare a Glasgow, si fece fotografare mentre rendeva omaggio alla tomba appena creata dell'eroe scozzese William Wallace. Uno scatto per il futuro, perché evidentemente Joan alla candidatura pensava da un po' e non ha più fatto un passo che non avesse anche un risvolto politico.
Prendi il referendum di 167 paesi catalani che hanno votato per l'indipendenza qualche settimana fa: Laporta ha fatto il leader, il capopopolo, il futuro candidato. La domanda sulla scheda era questa: "E' d'accordo che la nazione catalana diventi uno Stato di diritto indipendente, democratico e sociale integrato nell'Unione Europea?". L'obiettivo era ripetere, in grande scala, l'esperienza del piccolo paesino di Arenys de Munt, fuori Barcellona, dove lo scorso 3 settembre, quasi per gioco, si tenne la prima consultazione. Allora i sì vinsero con il 96 per cento dei voti ed una partecipazione del 41 per cento. Ad Arenys potevano votare 8mila persone, nell'altro referendum, invece, sono stati 724 mila i catalani chiamati a dire no al dominio spagnolo. Poi è toccherà anche ai cittadini di Girona, Lleida e Barcellona. Torna tutto, perché i tempi non sono un dettaglio. Joan aveva già messo la testa in questo referendum per fiutare l'umore e prepararsi per i prossimi mesi. Nelle settimane della campagna elettorale, era stato visto girare paesini dimenticati e cittadine moderne. L'ultimo comizio prima del voto gli organizzatori avevano affidato a lui: "L'indipendenza è possibile e per questo fa paura alla Spagna. Ora faremo il primo passo per avere uno stato nostro".
Laporta deve solo decidere con che partito stare. Poi sarà candidato alle Regionali e da lì porterà avanti il suo programma. Il calcio lo aiuterà per aiutare anche un po' se stesso. Perché anche qui, il progetto di una Nazionale catalana non è nuovo. La prima volta che se ne parlò era il 1996: Paesi Baschi e Catalogna chiesero l'autorizzazione a creare delle rappresentative autonome. Madrid disse no, ma non è comunque riuscita a fermare il sentimento popolare delle due regioni più indipendentiste di Spagna. Tre anni dopo arrivò il sì, attraverso una legge che istituì “selezioni sportive catalane”, che avrebbero potuto gareggiare all'estero con “bandiera e inno” della Catalogna.
Madrid non ha mai accettato, ma alla fine non s'è più opposta.
Oggi la Nazionale catalana gioca partite simboliche: l'ultima è stata poco prima dei Mondiali di Sudafrica contro l'Argentina. In panchina c'era Joan Cruyff, qualcosa più di un semplice simbolo. Ha esordito così: “Sarà la Nazionale più divertente del mondo”. E' convinto che un futuro ci sia: se c'è prevede la fine della Spagna che conosciamo oggi. Laporta vuole l'indipendenza della Catalogna, lo sport ha cominciato a trovarsela da sola. Le elezioni, le trattative con Madrid, il futuro del parlamento regionale e del popolo catalano si trascinano anche questa possibilità: una Spagna del futuro monca e una nuova Nazionale. Il Mondiale sudafricano rischia di essere la fine. L'ultima partita o l'inizio di una nuova era iberica? Sembra un film. Parla di calcio, ma si gira in un'aula di parlamento e sui palchi delle campagne elettorali. Poi potrebbe tornare sui campi con due maglie, due inni e due bandiere.
Il Foglio sportivo - in corpore sano