Il ritorno di Zeman e Casillo ha già fatto impazzire la depressa Foggia
Manca solo il signore che ogni domenica allungava un pacchetto di caramelle e le passava a Zeman dalla fessura della vetrata dietro alle panchine dello stadio di Foggia. Zdenek apriva, ne scartava una e la metteva in bocca. Zemanlandia era quel gesto. Era un presidente, un direttore sportivo, un gruppo di calciatori scelti uno per uno perché facessero un tutt'uno. Zemanlandia era un'idea. Torna adesso: quel presidente, quel direttore sportivo, quell'allenatore. Foggia scopre che nel passato ci può essere futuro.
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Manca solo il signore che ogni domenica allungava un pacchetto di caramelle e le passava a Zeman dalla fessura della vetrata dietro alle panchine dello stadio di Foggia. Zdenek apriva, ne scartava una e la metteva in bocca. Zemanlandia era quel gesto. Era un presidente, un direttore sportivo, un gruppo di calciatori scelti uno per uno perché facessero un tutt'uno. Zemanlandia era un'idea. Torna adesso: quel presidente, quel direttore sportivo, quell'allenatore. Foggia scopre che nel passato ci può essere futuro. Si ricomincia: Pasquale Casillo, Beppe Pavone, Zdenek Zeman ripartono dalla Lega Pro, cioè dalla C1. Si portano dietro l'entusiasmo di una città che non s'è mai staccata da quel passato. Come si fa? Foggia era la frontiera dello spettacolo. Mancini, Petrescu, Codispoti, Picasso, Padalino, Matrecano, Rambaudi, Shalimov, Baiano, Barone, Signori. Il nulla che diventò tutto. Perché quella squadra era fatta di giocatori che prima di quella stagione erano nessuno. Foggia vuole il déjà vu: è l'aria di revival che si respira.
Chiunque abbia un amico foggiano, tifoso o meno, chiamandolo scoprirebbe che c'è una città depressa che improvvisamente è impazzita. Vuole riprendersi se stessa e quei momenti che forse nessun altro posto ha vissuto: era un dramma andarci da avversari a Foggia. Vedevi Zeman prendersi quel pacchetto di sigarette e poi pregavi che non fosse la giornata. Franco Mancini, il portiere, stava fisso sulla sua trequarti, i compagni tutti attaccati: 4-3-3, dicevano. E tu 4-3-3 vedevi, in una specie di fisarmonica che s'allungava e si accorciava suonando la sua sinfonia. Signori era il massimo. Signori era quello che qualunque attaccante mancino avrebbe voluto essere. Baiano, poi. E Rambaudi, ancora. Non ci sarà un'altra squadra così. Perché poi la vera forza non erano quei nomi, ma gli altri, quelli che poi hanno fatto carriera sì, ma che non ce l'hanno fatta a essere bravi come sembravano in quel sistema: Matrecano, Padalino, Codispoti. Il bello di Zemanlandia era che un giocatore considerato di serie C poteva sbarcare in A trascinato dalla forza della squadra: quel Foggia riuscì a tradurre in qualcosa di concreto il luogo comune sull'“importanza del gruppo”.
E' difficile riprodurre quel mondo. Puoi avere la stessa idea, ma non puoi credere che la realizzazione sia la stessa. Zeman lo sa, così come lo sanno anche Casillo e Pavone. Però ci sono, un po' perché non ce la facevano a stare fuori, un po' perché l'ambizione di tornare a quei giorni è irresistibile per chi oggi non ha più praticamente niente da perdere. L'affare era una suggestione diventata una trattativa, diventata una cosa vera. Nelle ultime finali del campionato Primavera c'è stato un primo abboccamento. Il tecnico boemo aveva temporeggiato e chiesto garanzie chiare per rimettersi in discussione: Prima divisione della Lega Pro non è esattamente quello che Zeman si sarebbe potuto aspettare qualche anno fa. Oggi la situazione è diversa: Zdenek è senza squadra da troppo tempo, s'è ritagliato lo spazio da santone e da critico del sistema. Gli piace? Preferisce la panchina. Allora ha aspettato, ha sentito, ha parlato.
Pavone gli ha promesso che il mercato sarà fatto su richiesta del tecnico. Perché la rosa del Foggia di oggi è poca roba. Arriverà Rambaudi a fare il consulente dell'area tecnica: un altro tassello dell'operazione nostalgia, un altro pezzetto di passato che torna. Il resto si costruisce adesso, coi giovani, con gli osservatori, con il modulo. Foggia ci crede perché non può far altro. Il calcio è cambiato: gli anni Novanta sono molto più lontani di quanto dica il calendario. Di quello che c'era allora, oggi non c'è più niente. Zemanlandia è un'incognita. Una ispirazione magnifica, un punto d'arrivo ideale, una speranza. E' anche un rischio enorme, perché oggi chiederanno tutti quella cosa che hanno visto in quegli anni: vorranno il gioco, lo spettacolo, i gol, la vittoria. Ci sarà? Questo non lo sa neanche Zdenek che una volta sapeva tutto. Se lo augura e non è la stessa cosa.
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