Da vent'anni cerco scuse per delinquenti presunti, ecco perché
Qualcuno dei miei quattro lettori dirà: ma questo elefantino non fa che trovare scuse, talvolta magari ingegnose o almeno parzialmente convincenti, talvolta grottesche, per giustificare comportamenti indecenti del mondo politico di maggioranza che fa capo al capo del governo Berlusconi e sta dando uno spettacolo indecente di sé. Una volta è la cricca di Balducci e Anemone, una volta è la P3 di Carboni e Verdini, una volta è l'area mafiosa delle stragi del 1993, una volta è il giro Bertolaso e Letta, e prima fu per Craxi, Andreotti…
Qualcuno dei miei quattro lettori dirà: ma questo elefantino non fa che trovare scuse, talvolta magari ingegnose o almeno parzialmente convincenti, talvolta grottesche, per giustificare comportamenti indecenti del mondo politico di maggioranza che fa capo al capo del governo Berlusconi e sta dando uno spettacolo indecente di sé. Una volta è la cricca di Balducci e Anemone, una volta è la P3 di Carboni e Verdini, una volta è l'area mafiosa delle stragi del 1993, una volta è il giro Bertolaso e Letta, e prima fu per Craxi, Andreotti, insomma c'è sempre un pretesto politico-culturale da trovare, cesellare e offrire in pasto al pubblico. Che lo faccia per sprezzatura o per salvare la pagnotta, chissenefrega, concluderà uno dei quattro lettori, ma ormai il gioco è fin troppo scoperto.
Non posso negare, neanche a me stesso, che il mio gioco sia fin troppo scoperto. Non posso negare che ogni tanto ho la tentazione di dire a me e a chi mi legga o mi ascolti: “Adesso basta, non è che per un controteorema garantista e politicamente motivato degli anni Ottanta e dei primi anni Novanta, dalla difesa di Tortora e Sciascia alla difesa di Craxi e Berlusconi, poi si debbano assumere come persone di famiglia quintalate di marrazzoni che ne combinano di ogni tipo”. E invece no, queste negazioni liberatorie non voglio e non posso concedermele. Giudicherete voi se sia per voracità, insicurezza, infantilismo autolesionista, furberia all'italiana o per altri buoni motivi che non starebbe comunque a me evocare. Chissà.
Al fondo di questa cagnara scombiccherata, così palesemente perdente a fronte della paludata Italia intransigente che censura i comportamenti non ortodossi, alle vongole, e rivendica linearità e nitore di comportamento per gli amici, c'è una convinzione che mi viene dalla mia formazione marxista e materialista, dalla piccola cultura storica che mi sono fatto con qualche maestro buono il cui nome tengo riservato per pudore, dall'esperienza tra politica e giornalismo. La convinzione è che all'ingrosso il lavoro dei magistrati orientato a ripulire il mondo civile e politico dal malaffare è segnato da una tendenza antigiuridica che imbroglia le carte e mette sottosopra il giusto e il rovescio. E che senza il diritto bene applicato non c'è giustizia ma manovra politica e delazione pelosa, perché l'area grigia del potere è universale, e la differenza la fa il modo in cui si orienta una magistratura militante.
I pm hanno abbattuto i vecchi partiti con la custodia cautelare in carcere. Appena con il decreto Biondi la mettemmo in discussione come mezzo di indagine, e la custodia cautelare in carcere se intesa come mezzo di indagine è paragonabile alla tortura, su di noi si abbatté una tempesta e presto fummo fatti fuori (parlo del governo del 1994, il primo presieduto da Berlusconi, che aveva vinto le elezioni). In tv i pm confessarono che non bastavano i domiciliari, che se non potevano sbattere dietro le sbarre gli indagati, e minacciare di tenerli lì a lungo, non aveva senso il loro lavoro: era la logica della decimazione, che tanti lutti e tanto dolore ha prodotto nelle trascurabili vite, ma vite, dei colletti bianchi, cioè dei politici di partito che avevano bene o male nutrito per decenni (anche con finanziamenti irregolari, parte amnistiati parte no) questa democrazia non populista, conforme a Costituzione, che tutti gli ipocriti mozzorecchi fingono ora di rimpiangere.
Oltre all'uso della tortura giudiziaria e alla pratica illegalistica del carcere preventivo, altro tratto belluino che torna da vent'anni, e da vent'anni mi costringe moralmente a stare dalla parte dei presunti delinquenti, c'è la questione della stampa. Mi piacciono i giornali e le tv, ma il loro unanimismo ideologico, il loro danzare, salvo rarissime eccezioni, il ballo musicato e coreografato dalla cultura intransigente e paragiacobina degli azionisti, questo loro rifiuto sprezzante di ogni correzione liberale al tracciato gogna e galera, tutto questo mi fa ribrezzo. E' vero che lo schieramento politico di centro destra sopravvissuto con Berlusconi alla grande operazione di pulizia etnica dei primi anni Novanta eccede nello schematismo, nei toni propagandistici, mostra un'incapacità evidente o poca voglia di usare le dovute distinzioni e sfumature. E' vero che a forza di proclamarsi liberali e garantisti, si finisce sulla posizione estrema di “difendere l'indifendibile” (quella che è però l'essenza dello spirito liberale secondo i libertari). Ma io continuo a pensare che se Fassino parlando con un banchiere delle coop dice al telefono “abbiamo una banca”, non è un pitreista, è uno che fa politica. E che se Verdini invita a casa sua una quantità di loffioni e di mezze seghe del sottobosco pidduista, e in qualche conversazione intercettata si parla di giudici da promuovere, di Fofò e altri tipetti da mandare avanti in qualche tribunale, bè, la domanda da farsi, l'inchiesta da scrivere, non è se sia nata una P3 capace di sradicare la Repubblica (ché mi viene francamente da ridere); no, la domanda da farsi è: ma come si nominano i magistrati in Italia, tra correnti, gilde, corporazioni trasversali e voti incrociati dei Nicola Mancino e dei membri di sinistra del Csm per il Fofò di turno?
Ripeto: le intercettazioni, che stanno alla politica del XXI secolo come il carcere-tortura selettivo stava alla politica della fine del secolo scorso, ci dicono chi cena con chi. Ma noi vogliamo sapere chi ha fatto che cosa, e di illegale, e se quel qualcosa sia un reato penale personale o un sistema, una modalità di funzionamento della Repubblica dei cugini e dei raccomandati.
Il Foglio sportivo - in corpore sano