Io sto con i rinoceronti

Stefano Di Michele

Sul numero di oggi del Foglio c'è un editoriale. Fa ridere i polli (di soddisfazione, s'intende, visto che assicura che i polli non sono a rischio estinzione: la risata risulterà particolarmente fragorosa e di massa). Perciò il tema adesso sarebbe quello di privatizzare i rinoceronti – a Ionesco, che se ne intendeva, sarebbe sembrata ipotesi troppo assurda. Dev'esssere uno di quei liberisti-privatizzatori che appena aprono bocca hanno sempre un principio di lapidazione verbale tra di denti – solitamente verso chi è un tantino più debole.

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    Sul numero di oggi del Foglio c'è un editoriale. Fa ridere i polli (di soddisfazione, s'intende, visto che assicura che i polli non sono a rischio estinzione: la risata risulterà particolarmente fragorosa e di massa). Perciò il tema adesso sarebbe quello di privatizzare i rinoceronti – a Ionesco, che se ne intendeva, sarebbe sembrata ipotesi troppo assurda. Dev'esssere uno di quei liberisti-privatizzatori che appena aprono bocca hanno sempre un principio di lapidazione verbale tra di denti – solitamente verso chi è un tantino più debole. Così, se degli stronzi di bracconieri uccidono un rinoceronte per rubargli il corno (per clienti ancor più stronzi, e parecchio più ricchi, che con la favola del potere afrodisiaco alimentano la mattanza per spararsi seghe senili), per cosa freme d'indignazione la penna liberista davanti alla foto del cadavere della povera bestia? Per il fatto che abbia “titillato gli istinti forcaioli degli amanti degli animali”. Toh, è arrivato il Ghedini della savana.

    L'idea di privatizzare gli animali è semplicemente ripugnante. Non che a qualcuno possa non piacere – è ripugnante pure l'idea di privatizzare l'acqua, ma l'hanno fatto – o che qualche società privata non possa valutare l'idea di mettersi a fare a schioppettate con i bracconieri stronzi per mantenere in vita le prede (un animale privatizzato questo diventa: una preda a disposizione) per qualche altro coglione (ricco anch'esso: ci fosse del buono, nella lotta di classe?). L'idea che la bellezza vada difesa semplicemente perché è bellezza – di difficile contrattazione sul mercato, incerta valutazione monetaria, pertante incapace di muovere a commozione come un pacchetto di stock option – pare in grande affanno. Non so, dopo i rinoceronti si potrebbero privatizzare le giraffe, magari le scimmie, e forse i fenicotteri – se stessero al loro posto, quei cazzi di fenicotteri: capace che uno se li compra e quelli credono di poter andare qua e là, dove gli dice la loro capoccetta. Sarà pure “retorica piagnona”, ma fa venire il torcibudella meno della retorica delle privatizzazioni  – che ha certo elementi di saggezza, ma a passo di carica (da rinoceronte, verrebbe voglia di dire, non fosse per il rispetto degli stessi) si fionda spesso verso il grottesco (teorico) e sempre verso il tornaconto (pratico).

    Intanto, è il principio che fa orrore. Come li vogliamo ripartire, 'sti rinoceronti? Gli facciamo l'anagrafe? Gli diamo i documenti? Li portiamo alla pesa comunale? I liberisti-privatizzatori fanno sempre mostra di un pensiero cazzuto, di poche chiacchiere e di molta sostanza. Poi, chi si becca questa sostanza è altro discorso. Ma visto il coraggio da leone (ah, ecco: privatizziamo i leoni, prima che Simba addenti le chiappe di qualche moneratista!) di cui fanno mostra, dovrebbero essere conseguenti – per essere ancor di più convincenti. Pertanto, recarsi di persona, con la loro emozionante favella, a chiedere l'opinione a un'adunata generale dei rinoceronti africani: scusate, signori rinoceronti, vi proponiamo di essere ceduti ai privati per essere valorizzati… Come un referendum a Pomigliano, per capirsi. Se quelli hanno ancora tutti i corni che dovrebbero avere, potrebbero – come si dice: sul campo – fornire subito un'efficace risposta all'intrepido argomentare. Perché i teorici delle privatizzazioni a ogni costo (tutto il concettoso pensiero sta, pari pari, nel Totò che prova a piazzare la Fontana di Trevi al turista scemo) hanno spesso un ardimentoso ragionare senza mai misurarsi con l'effetto pratico.

    Così, visto che l'invito è di “trattare i rinoceronti come galline”, diamo loro questa soddisfazione: in una bella gabbia si mettano insieme il teorizzatore intrepido e il possibile precario della savana, con il suo bel corno svettante – e con la speranza che sia anche di buona mira. Lo vuole trattare come una gallina? Benissimo, allora proceda e gli tiri il collo con le apposite manine. Fatto? O magari, all'uopo, adunare – seguendo l'entusiasmante proposta bestial-liberista – un folto branco di tigri del Bengala, che quelle sono peggio della Fiom, e tentare con un po' di felice dialettica di attrupparle verso la messa a reddito di qualche società più famelica di loro. Una qualsiasi – di quelle capaci di bitumare i cormorani di mezzo Atlantico. E provi ad ascoltare, l'apposito privatizzatore, munito di casco da esploratore e borraccia d'acqua (essendo privatizzata avrà, nel felice confronto, la funzione di acqua benedetta), cosa le dirette interessate – sfornite di corna, ma con argomenti non meno persuasivi – pensino della faccenda. Nell'attimo fatale, potrebbe trovare edificazione nei versi di Borges, “è una tigre che mi divora, ma io sono la tigre” – ché il poeta si dedicò a “l'oro delle tigri”, espressamente del Bengala, senza pensare (lui) di ricavar oro dalle tigri stesse. Nella più fortunata delle ipotesi, faccia poi sapere com'è andata.

    P.s.: proprio ieri è apparsa la notizia che è stato fotografato, nello Sri Lanka, un minuscolo animale che si credeva scomparso da sessant'anni. Se ne stava su un albero per cazzi suoi, senza autorizzazione alcuna. Ma come si permette?     

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