Uscita di non colpevolezza

Massimo Boffa

Da un mese a questa parte si respira un'aria diversa al processo contro Mikhail Khodorkovsky e Platon Lebedev. E' presto per dire che si sia in presenza di una vera svolta, ma certo qualcosa è successo, qualcosa che soltanto fino a qualche tempo fa sarebbe stato impensabile e che non ha mancato di scatenare, tra i commentatori, una ridda di interpretazioni e di speculazioni.

    Da un mese a questa parte si respira un'aria diversa al processo contro Mikhail Khodorkovsky e Platon Lebedev. E' presto per dire che si sia in presenza di una vera svolta, ma certo qualcosa è successo, qualcosa che soltanto fino a qualche tempo fa sarebbe stato impensabile e che non ha mancato di scatenare, tra i commentatori, una ridda di interpretazioni e di speculazioni.
    La novità è questa. Il 21 e il 22 giugno, al tribunale Khamovnicheskij di Mosca, dove si svolge il secondo processo contro l'ex oligarca e il suo braccio destro, accusati di avere fraudolentemente sottratto alla Yukos, la loro impresa, 350 milioni di tonnellate di petrolio tra il 1998 e il 2003, reato per il quale rischiano fino a 22 anni di prigione (oltre a quelli che hanno già scontato), si sono presentati, convocati dalla difesa, due testimoni eccellenti: German Gref e Viktor Khristenko. Gref è ex ministro dell'Economia e attuale capo di Sberbank, la più grande banca russa; Khristenko è ministro in carica dell'Economia e del Commercio nel governo Putin.

    Questo già era un evento fuori dal comune: fino a quel momento, il presidente del tribunale, Viktor Danilkin, aveva sempre rifiutato alla difesa la convocazione di testimoni appartenenti alla nomenklatura politica, a cominciare dallo stesso Putin. Quel che è più importante, però, è che entrambi i testi hanno messo in evidenza l'assurdità del teorema accusatorio del procuratore Valerij Lakhtin. Hanno infatti dichiarato che era impossibile che il furto di una simile quantità di petrolio passasse inosservato ai responsabili governativi dell'economia. E né l'uno né l'altro, che pure all'epoca ricoprivano importanti incarichi, si erano mai accorti di nulla. A rendere la faccenda ancora più clamorosa si è aggiunto il primo canale tg, che di solito segue molto distrattamente il dibattimento e che questa volta invece ha voluto dare, sia pure con estrema sobrietà, la notizia.

    Secondo unanime giudizio, infatti, non è immaginabile che Gref e Khristenko si siano presentati a testimoniare in un processo così delicato senza essersi prima consultati con il capo del governo, cioè con Putin, e averne ottenuto un qualche beneplacito. Ovviamente non esiste alcun regolamento che imponga a un ministro convocato in tribunale di chiedere il preventivo assenso dei suoi superiori ma, come fa notare l'ex premier Mikhail Kasjanov intervistato su questo punto dalla stampa russa, “c'è un'etica non scritta che regola i rapporti tra i membri del governo” e prendere una simile iniziativa senza coordinarsi con il proprio leader sarebbe considerato come un gesto di slealtà, vorrebbe dire escludersi da sé dalla cerchia delle persone fidate. “Non credo all'indipendenza del giudice Danilkin”, è l'opinione ancora più sbrigativa di Aleksej Kondaurov, ex deputato comunista e agente in pensione dei servizi di sicurezza; “Danilkin è un uomo terrorizzato, chiaramente qualcuno gli ha ordinato di convocare Gref e Khristenko e di non convocare altri”.
    Qualcosa, dietro le quinte del tribunale, sembra dunque essersi messo in movimento, anche se nessuno è in grado di dire esattamente che cosa. Quel che appare sempre più evidente, però, è che questo secondo processo sta creando, al potere politico, assai più imbarazzi del primo. In fin dei conti, quando nel 2005 Khodorkovsky e Lebedev vennero condannati a otto anni di prigione, non mancavano le buone ragioni: si trattava, infatti, dell'esito culminante di una spietata lotta politica tra i principali oligarchi emersi dai turbolenti anni Novanta e il nuovo potere del Cremlino deciso ad affermare la propria autorità. Prima Boris Berezovsky, poi Vladimir Gusinsky e infine Mikhail Khodorkovsky pagavano per aver sfidato Putin e la sua politica. Inoltre, agli occhi dell'opinione pubblica, che non li aveva mai amati, espiavano il peccato originario di essersi impadroniti, con metodi tutt'altro che trasparenti e complice la squadra di Boris Eltsin, delle principali ricchezze del paese (su questa epopea, che ha fatto di un pugno di uomini venuti dal nulla i padroni di immensi tesori e i king maker della politica postsovietica, esiste un bellissimo e appassionante libro, il miglior racconto storico sugli anni Novanta russi: si chiama “The Oligarchs”, autore il premio Pulitzer David Hoffman, ed è un vero peccato che ancora nessun editore italiano lo abbia tradotto). Ora tutto ciò è storia passata, gli oligarchi non esistono più (esistono i nababbi, ma è cosa diversa), e quel che era battaglia per il potere senza esclusione di colpi è diventato puro accanimento persecutorio.

    Il problema ora è che il processo volge al termine e i registi non sembrano sapere più troppo bene che cosa fare. Quel che era chiaro un anno fa non è più così chiaro adesso. Anche per questo, mentre fino a qualche mese fa si prevedeva che la sentenza sarebbe arrivata a metà agosto, periodo ideale per cadere nel disinteresse generale, ora i tempi si sono allungati: la difesa deve ancora terminare di presentare i propri argomenti, poi seguirà un dibattito supplementare dell'una e dell'altra parte, infine le arringhe conclusive della procura e degli avvocati. Il verdetto, a questo punto, non è atteso prima di ottobre-novembre.
    E proprio il verdetto è la vera grana. La corte dovrà stabilire se i due ex proprietari della Yukos sono colpevoli o innocenti. Ma entrambe le soluzioni, dal punto di vista delle autorità politiche, presentano non pochi inconvenienti. Una sentenza di colpevolezza accrescerà, agli occhi dell'opinione pubblica internazionale, il discredito, già molto alto, della giustizia russa, per giunta in un momento in cui il Cremlino è impegnato in un'operazione “simpatia” volta ad attrarre investimenti per i propri progetti di modernizzazione e in cui i partner occidentali chiedono soprattutto “certezza del diritto”. Tutti vedono bene che l'accusa di avere rubato 350 milioni di tonnellate di petrolio è assurda. Forse, nelle alte sfere, si sperava che la procura sarebbe riuscita a trovare qualche argomento un po' più solido, ma è chiaro che così non è stato. Ma anche un verdetto di non colpevolezza appare, dal punto di vista delle autorità, politicamente molto problematico.

    Appena sei mesi fa, Vladimir Putin, rispondendo a muso duro a delle domande su Khodorkovsky, aveva accennato a “fatti di sangue” nel passato della Yukos. Non c'entra niente con il dibattimento in corso, ma una sentenza che dichiarasse l'ex oligarca “innocente” lascerebbe intendere che il capo del governo è diventato meno influente. C'è infatti un'altra partita, dall'esito non scontato, che si sta giocando sullo sfondo e che complica ulteriormente il destino del processo Khodorkovsky. Alla generale indecisione sulla sentenza si combina una ben più importante incertezza: chi, del “tandem” (Putin-Medvedev), sarà il candidato alle elezioni presidenziali del 2012? E non è difficile immaginare che anche giudici e procuratori venderebbero oggi l'anima al diavolo pur di conoscere la risposta a questa domanda.

    In mancanza d'altro, e di fronte all'indubbia novità delle testimonianze di Gref e Khristenko, tra i commentatori di Mosca circolano in questi giorni le più svariate supposizioni. Secondo gli uni, Cremlino e governo avrebbero deciso di prendere le distanze da un processo che si sta rivelando imbarazzante e di cui non si vede più bene quale vantaggio ne potrebbero trarre. In questo caso, toccherebbe al giudice Danilkin la poco gradita responsabilità di prendere da solo una decisione e, come si dice a Mosca, “di mettere tutte le virgole al loro posto”, cercando di non spezzarsi l'osso del collo. Secondo altri, i nemici di Khodorkovsky presenti nel governo (vale a dire Putin e il suo vice Igor Secin) avrebbero perso interesse al processo mentre, al contrario, la squadra di Medvedev starebbe estendendo la propria influenza, dal momento che è chiaro a tutti che il presidente non ha alcun interesse a un verdetto di colpevolezza.

    C'è naturalmente anche una terza ipotesi: che l'audizione dei due testimoni eccellenti sia stata una messa in scena per gettare fumo negli occhi dei partner internazionali. In fin dei conti, l'interrogatorio di Gref e Khristenko è capitato nel momento più opportuno: alla vigilia del viaggio di Dmitrij Medvedev negli Stati Uniti per incontrare Barack Obama. “Hanno fatto vedere agli ospiti stranieri – è stato il commento di Kiril Kabanov, presidente del Comitato non governativo per la lotta alla corruzione – che in Russia anche gli alti funzionari possono essere convocati in tribunale e chiamati a rispondere a domande taglienti”. Ma è una di quelle ipotesi riduttive tipiche di chi considera la politica come una sequela di furbizie e sottovaluta come il secondo processo Khodorkovsky sia ormai diventato, per i leader del paese, un impiccio sempre più difficile da gestire.

    Sarà dunque vero che Medvedev si tenga accuratamente lontano dal caso: il presidente si occupa molto del sistema giudiziario nel suo complesso, considerato uno dei punti dolenti della situazione russa, mentre si guarda bene dal mettere bocca nei singoli procedimenti. Tanto più in uno come questo, che con ogni probabilità è entrato a far parte dell'accordo pre-elettorale con Putin nel 2008 e dove quindi altissimo è il rischio di commettere un passo falso nella prospettiva delle presidenziali 2012. Però a questo punto è anche evidente che al Cremlino cresca la preoccupazione per un esito processuale che finirebbe per danneggiare seriamente la reputazione del paese. Senza dimenticare che le corti dell'Aia e di Strasburgo sono state investite del caso Yukos e che anche su quel fronte potrebbero esserci delle grane in vista.

    Quanto a Vladimir Putin, è un uomo pratico. Sa bene che Khodorkovsky non rappresenta più un pericolo politico. E probabilmente non prende il processo così a cuore come poteva essere fino a qualche tempo fa. Forse si rende conto dei molti effetti negativi che potrebbe avere una condanna fondata su accuse tanto inverosimili e cerca di assumere una posizione più defilata da quanto sta accadendo nell'aula del tribunale di Khamovnicheskij. Se le cose stessero così, si capirebbe tanto meglio l'estremo nervosismo dimostrato, durante le deposizioni di Gref e Khristenko, dal procuratore Lakhtin, che in un simile scenario finirebbe per fare il capro espiatorio.
    Queste sono, dunque, le ipotesi, le supposizioni, le speculazioni, le speranze, i timori che circolano attorno al processo di Mosca dopo la “piccola svolta” di fine giugno. I più prudenti, naturalmente, sono gli avvocati dei due imputati. Le testimonianze di Gref e Khristenko vengono considerate molto positive, sia perché hanno smontato le accuse sia per il fatto stesso di avere avuto luogo: “In Russia non succede spesso che un ministro in carica venga a testimoniare a favore della difesa, per giunta in un caso come questo”, dichiara al Foglio uno degli avvocati di Khodorkovsky che preferisce mantenere l'anonimato. “E' la chiara dimostrazione che c'è divisione tra i leader che guidano il paese. D'altra parte, se la Russia vorrà modernizzarsi avrà bisogno della collaborazione dei partner internazionali, e non potrà ottenerla finché questo caso non si sarà risolto positivamente. Khodorkovsky libero sarebbe il miglior biglietto da visita per attrarre investimenti”. Già, ma la sentenza? “Solo se ci sarà la volontà politica, si potrà trovare un esito positivo, magari escogitando soluzioni di compromesso. Anche se forse si dovranno aspettare le prossime elezioni presidenziali”.

    In un caso così complesso, con tante variabili politiche ancora in movimento, nella strategia della difesa resta dunque centrale il motivo delle pressioni che sulla Russia possono esercitare i partner internazionali. Anche per questo le varie organizzazioni di sostegno ai due imputati danno vita a manifestazioni in giro per il mondo per attirare l'attenzione dell'opinione pubblica. La più recente si è appena svolta a Roma. Promossa dall'associazione Memorial e dal giornale Novaja Gazeta, presso l'Arciconfraternita dei Bergamaschi, è stata aperta per una settimana la mostra “Ritratti di (in)giustizia”, disegni che artisti russi di varie generazioni hanno realizzato sul tema del processo a Khodorkovsky e Lebedev.