Caccia al pirla
Le wikispie sono idealisti naïf con troppi film in testa
Primo: dimenticare William Colby, il capo della Cia che prese il comando dei servizi segreti dopo aver combattuto la Seconda guerra mondiale tra i partigiani francesi. Secondo: mettere da parte Aleksey Myagkov, l'agente del Kgb capace di fuggire dall'Unione Sovietica in piena Guerra fredda. Le wikispie, gli informatori che hanno passato migliaia di documenti top secret all'organizzazione Wikileaks, hanno poco a che fare con i loro predecessori.
Primo: dimenticare William Colby, il capo della Cia che prese il comando dei servizi segreti dopo aver combattuto la Seconda guerra mondiale tra i partigiani francesi. Secondo: mettere da parte Aleksey Myagkov, l'agente del Kgb capace di fuggire dall'Unione Sovietica in piena Guerra fredda. Le wikispie, gli informatori che hanno passato migliaia di documenti top secret all'organizzazione Wikileaks, hanno poco a che fare con i loro predecessori. Non combattono una guerra, non passeggiano per strada con il passaporto falso e non potrebbero mai scrivere un libro di memorie avventurose, dato che passano gran parte del loro tempo incollati al monitor di un computer. Il loro ultimo colpo, la pila di pagine sulla guerra in Afghanistan riassunta lunedì da tre grandi quotidiani – New York Times, Guardian e Spiegel –, è l'ars poetica del gruppo: forse non è materiale interessante quanto sembra, ma almeno fa discutere. A pensarci bene, le spie vere fanno l'esatto opposto.
Questa nuova categoria di agenti segreti è una via di mezzo tra l'hacker, il pirata che penetra nei sistemi informatici di giornali, industrie e governi per rubare segreti o, semplicemente, per dimostrare la propria abilità, e il whistleblower, come sono definiti nel mondo anglosassone coloro che denunciano in modo anonimo mancanze e soprusi dell'Amministrazione pubblica. Quelli di Wikileaks fanno capo a Julian Assange, 39 anni, faccia da ex bambino prodigio. Nel 2006 ha fondato un sito internet che raccoglie soffiate di ogni tipo, dalle immagini riprese sui campi di battaglia iracheni alle carte ingiallite che portano la firma di Kissinger. Riesce a procurarseli con l'aiuto di tanti smanettoni del computer, spesso al servizio di un apparato governativo, che sono pacifisti, che vogliono fermare le multinazionali farmaceutiche o sognano un lavoro più interessante del loro. Il loro impegno, manco a dirlo, ha raccolto numerosi riconoscimenti.
Come l'International media award di Amnesty, l'ong che si occupa di diritti umani, e quello messo in palio dal settimanale Economist. La wikispia più conosciuta è Bradley Manning, un analista dell'esercito americano finito in arresto a maggio. Secondo gli inquirenti, ha passato a Wikileaks il video di un bombardamento avvenuto a Baghdad nel 2007 nel quale persero la vita una decina di civili, compresi due giornalisti della Reuters, i cui obiettivi furono scambiati per armi. Pochi giorni dopo la pubblicazione del video si è vantato del successo con un altro hacker, Adran Lamo, conosciuto per aver violato più volte i siti internet del New York Times, di Microsoft e di Fortune 500. Nella conversazione, Manning diceva che quella soffiata avrebbe potuto portare a una “discussione globale, a un dibattito, a riforme” sulla guerra in corso. Ma Lamo, anziché tenere la notizia per sé, l'ha passata agli investigatori americani. Oggi Manning si trova nel carcere di Camp Arifjan, in Kuwait, e rischia cinquant'anni di carcere. Si pensa che abbia collaborato anche all'operazione “The War Logs”, presentata lunedì da Assange, che ha portato grande imbarazzo nel team del presidente americano, Barack Obama. Alla Casa Bianca dicono che le rivelazioni di Wikileaks sono un pericolo per la sicurezza dei soldati che combattono in Afghanistan e in Iraq. Anche per questo, Assange ha deciso di non mettere piede per un po' di tempo sul suolo americano.
Persino Anna Chapman, l'imprenditrice russa e procace arrestata a New York un mese fa con l'accusa di essere una spia del Cremlino, sembra Mata Hari in confronto agli uomini di Wikileaks. Pochi credono che sia riuscita a passare segreti decisivi ai Servizi russi, ma la sua reputazione di donna fatale e il passato misterioso nei salotti di Londra ne fanno un personaggio degno dei romanzi in stile Deighton. Per metterla in trappola, un agente dell'Fbi le ha dato appuntamento in una caffetteria di Manhattan, si è finto doppiogiochista e le ha offerto un passaporto falso con il quale condurre una nuova esistenza, rigorosamente sotto copertura, negli Stati Uniti. Anna non è caduta nel tranello e ha rifiutato la proposta a malincuore, dopo una telefonata al padre, ha bevuto l'ultimo sorso di Frappuccino ed è uscita in strada. L'hanno fermata qualche ora dopo. I tempi di Myagkov sembrano davvero alle spalle.
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