“Ormai è finita” (forse)

Aria di tempesta nel Pdl, il Cav. pronto a rompere con Fini dopo la manovra

Salvatore Merlo

Tira aria di tempesta nel Pdl, malgrado la smentita serale nella quale Palazzo Chigi nega ogni attendibilità ai propositi demolitori attribuiti al Cav. dalle agenzie. Nei conciliaboli tra Silvio Berlusconi e i suoi generali si parla di convocare per questa settimana, forse venerdì, un ufficio di presidenza per rompere con Gianfranco Fini. Obiettivo: mettere ai voti una mozione che ponga il cofondatore del Pdl e il suo gruppo con le spalle al muro, qualcuno parla di “sospensione”.

    Tira aria di tempesta nel Pdl, malgrado la smentita serale nella quale Palazzo Chigi nega ogni attendibilità ai propositi demolitori attribuiti al Cav. dalle agenzie. Nei conciliaboli tra Silvio Berlusconi e i suoi generali si parla di convocare per questa settimana, forse venerdì, un ufficio di presidenza per rompere con Gianfranco Fini. Obiettivo: mettere ai voti una mozione che ponga il cofondatore del Pdl e il suo gruppo con le spalle al muro, qualcuno parla di “sospensione”. L'idea bellicosa è di ottenere, giovedì, l'approvazione definitiva della manovra per poi “risolvere” di forza la questione Fini.

    Certo è che di risoluzioni di questo genere, negli ultimi mesi, il Cav. – parlando con i propri interlocutori – ne ha prese già parecchie senza mai davvero passare all'azione. Sono in tanti i dirigenti e i parlamentari del Pdl che negli ultimi tempi sono usciti da un colloquio a quattr'occhi con il premier descrivendolo poi “deciso alla rottura immediata”. Impressioni finora sconfessate dai fatti. Forse questa volta è diverso. Un realista come Fabrizio Cicchitto ieri è stato sentito mentre diceva: “Ormai è finita”. Persino un intimo del Cav., uno di quelli che fino all'ultimo ha provato a consigliargli la via diplomatica dell'appeasement, ieri sera confermava che “ormai è fatta”.

    Il Cav. ieri pomeriggio a Montecitorio, nell'incontro con Giulio Tremonti, presenti Cicchitto e Paolo Bonaiuti, ha trovato anche il modo di scontrarsi con il proprio ministro dell'Economia. L'eco del mini vertice è stata sonora in tutto il quadro dirigente della ex FI sino al Senato. Tremonti è stato avvertito delle intenzioni colleriche del premier e lo ha sconsigliato: la manovra è una cosa seria che ci procurerà difficoltà di fronte all'opinione pubblica – ha detto a Berlusconi – non sarebbe saggio aggravare la situazione con una rottura immediata tra te e Fini. Parole che il presidente del Consiglio non avrebbe accolto con piacere tanto più se, richiesto poi da Tremonti di difenderlo sulla manovra riconoscendogli anche pubblicamente il merito di averla portata a casa, il Cav. ha davvero risposto picche. Anzi.

    Per evitare discussioni (su Fini) e scantonare la richiesta tremontiana, ha pure deciso di annullare la prevista cena con i deputati. La cancellazione della cena, ovvero di un rituale durante il quale Berlusconi è da tempo incline a lasciarsi andare in confidenze con i propri parlamentari intorno agli equilibri politici, suona come il silenzio che precede la tempesta.

    I segnali di guerra d'altra parte si sono accavallati l'uno sull'altro nell'ultima settimana, a cominciare dalla convention di Gianni Alemanno a Orvieto. Il sindaco di Roma aveva sempre mantenuto una posizione diplomatica e quasi equidistante tra Fini e Berlusconi. A Orvieto, circondato plasticamente dagli ex colonnelli passati con Berlusconi, Maurizio Gasparri e Ignazio La Russa, Alemanno ha chiesto la testa di Fabio Granata aderendo definitivamente all'asse degli ex An berlusconizzati. Forse il sindaco già riteneva tramontata ogni ipotesi di riconciliazione? E' possibile. Gli ex colonnelli sono stati finora i più interessati a che l'alleggerimento con il presidente della Camera non avvenisse; o meglio, che si verificasse soltanto dopo aver assestato a Fini un colpo micidiale: “Si deve poter negoziare da una posizione di forza”.

    Tutti nel Palazzo sono da tempo a conoscenza della richiesta di Fini al Cav: una revisione dell'organigramma che determinerebbe la morte politica degli ex colonnelli. Una concessione inaccettabile non solo per Gasparri e La Russa ma anche per il gruppo dirigente di FI che considera i due ex An come membri acquisiti: “Non può passare il messaggio che Berlusconi non tuteli chi gli è fedele”. Lo stato maggiore della ex FI ha infatti già accolto come un successo personale il tentativo di scalata (solo parzialmente riuscito) degli ex colonnelli alla fondazione An, quella scatola che ha blindato il tesoretto immobiliare dell'omonimo partito. Era il serbatoio propellente della carriera politica di Fini, adesso è una comproprietà con i colonnelli che si è già stabilito di dividere in parti uguali. Non è escluso che a breve la fondazione venga affidata a una figura terza, una sorta di garante che provveda alla separazione consensuale dei beni. La figura individuata è il senatore Giuseppe Valentino, apprezzato da Fini e anche dai suoi ex colonnelli.

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.