Armageddon

Un Cav. durissimo abbatte Fini e lo esclude dal Pdl (e dalla Camera)

Salvatore Merlo

Separazione non consensuale, anzi cruenta. Nella notte tra mercoledì e giovedì, a via del Plebiscito, Silvio Berlusconi aveva perfino immaginato un recupero a venire: “Ora Fini lo butto fuori. Ma nel 2013 potrei anche recuperarlo”. Ieri ha lanciato su di lui l'arma finale, rinviando a giudizio i finiani e condannando tutti all'esilio. Proprio per questo, a chi lo ha incontrato il premier è apparso sollevato, come ci si può sentire liberi dopo il divorzio da una moglie petulante.

Leggi Le complicazioni amorose di un divorzio politico sul sofà dell'analista - Leggi l'Andrea's version - Leggi l'intervista a Ferrara: Silvio sbaglia, pagherà un prezzo da Corriere.it

    Separazione non consensuale, anzi cruenta. Nella notte tra mercoledì e giovedì, a via del Plebiscito, Silvio Berlusconi aveva perfino immaginato un recupero a venire: “Ora Fini lo butto fuori. Ma nel 2013 potrei anche recuperarlo”. Ieri ha lanciato su di lui l'arma finale, rinviando a giudizio i finiani e condannando tutti all'esilio. Proprio per questo, a chi lo ha incontrato il premier è apparso sollevato, come ci si può sentire liberi dopo il divorzio da una moglie petulante. Seppure in Parlamento non si sa mai che succederà nel lungo periodo. Fini potrebbe lasciare il Pdl con un sufficiente numero di parlamentari per costituire, già stamattina, un gruppo autonomo “piantato come un chiodo nel centrodestra”.

    Il premier, che fino all'ultimo sta cercando di trattenere con sé
    alcuni finiani, rimane con la sua più che sufficiente maggioranza. Ma già pensa a Pier Ferdinando Casini cui ha offerto un posto nel governo a ottobre (oltre alla vicepresidenza del Csm) e in fondo sa pure che sarebbe più accettabile per la Lega triangolare, prima o poi, con Fini che con l'Udc. Chissà. Per ora non è questa la linea. Raffaele Fitto e Angelino Alfano ieri ragionavano tra loro: “Fini va ignorato, da oggi noi ministri e sottosegretari dovremo fare i parlamentari semplici e votare alla Camera per garantire i numeri”. Tuttavia l'impressione è che non sia finita qui. Fini cercherà di restare immobile – sebbene sia sotto esplicito attacco: “Non è più un garante” – al suo posto di presidente della Camera. E prima dell'Armageddon faceva sapere  che lui e i suoi voteranno con la maggioranza “secondo il programma”. Come quei profughi che passavano la cortina di ferro e una volta in occidente scandivano “io sono co-mu-nis-ta”. Ma non si escludono sue rivalse immediate.

    “Berlusconi non si è voluto piegare alle regole della politica classica. Gli si proponeva di fare un partito, di accettare il dissenso. Non ha voluto”. Ragionava così, ieri, sulla soglia di Montecitorio, Italo Bocchino. Insomma quasi un'ammissione di fatalismo di colui il quale oggi potrebbe diventare il capogruppo finiano della nuova “Italia Nazione e Libertà”: era inevitabile; non si può ingessare il leader, giocoso e carismatico, di un popolo nel gessato grigio di un segretario di partito. Lo ha spiegato lo stesso Berlusconi ad alcuni suoi vecchi amici che ancora provavano a fargli rinfoderare i propositi di guerra: “Attenzione. Io non sono ‘sceso in politica', sono ‘sceso in campo'”; non ho mai fondato un partito, sono il leader di un Popolo.

    Proprio per questo con Fini la storia si è conclusa male
    senza concludersi del tutto. Il Cav. non tollera la presenza invadente di un professionista della politica come Fini “dentro” la sua creatura personalizzata. Fini nel Pdl, per il Cav., ha rappresentato un'anomalia irritante: come se un nuovo azionista arrivasse al Milan e cominciasse a dirgli cosa fare con la squadra. Ma ora che Fini è alla porta? La dialettica potrebbe cambiare e, se ci saranno superstiti, nulla osterebbe a un riavvicinamento futuro con loro. Con gli alleati – si chiamino questi Bossi, Casini o Fini – Berlusconi ha sempre dimostrato straordinarie capacità di tolleranza. Sin dai tempi del 2001-2005, quelli del fastidioso sottogoverno An-Udc. Fini lo sa. Per questo sta attrezzando Generazione Italia affinché diventi qualcosa di spendibile subito, anche nel centrodestra ancora berlusconiano.

    Lega tricolore? Destra nazionale?
    Il partito di Fini (se si farà) sarà qualcosa del genere. Dovranno soltanto sedimentarsi, prima, gli umori neri e asciugarsi le lacrime di Gennaro Malgeri (ma non solo le sue) versate sui divanetti del Transatlantico. Come confessava Alfredo Mantovano all'anziano Donato Lamorte: “E' un passaggio difficile. E' dura dividersi dopo tanti anni”. Le formule non sono ancora chiare a nessuno, non alla truppa finiana né, tantomeno, sono chiare nella testa di Fini e del Cav. Il presidente della Camera ancora ieri notte appariva incerto: uscire dal Pdl dopo l'ufficio di presidenza o resistere ancora, perpetundo il braccio di ferro con Berlusconi?

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    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.