Dopo la bomba
Fini si mette in proprio ma il Cav. (con Bossi) già pensa alle urne
Grande confusione nel Pdl e maggioranza indebolita alla Camera dall'addio di trentatré deputati passati nel neonato gruppo parlamentare di Gianfranco Fini, “Futuro e libertà”. Silvio Berlusconi nei suoi conciliaboli privati – l'ultimo ancora in corso mentre questo giornale va in stampa – coltiva ogni genere di ipotesi strategica: resistere così? Preparare un Berlusconi-bis con l'Udc? o tessere la trama delle elezioni anticipate?
Grande confusione nel Pdl e maggioranza indebolita alla Camera dall'addio di trentatré deputati passati nel neonato gruppo parlamentare di Gianfranco Fini, “Futuro e libertà”. Silvio Berlusconi nei suoi conciliaboli privati – l'ultimo ancora in corso mentre questo giornale va in stampa – coltiva ogni genere di ipotesi strategica: resistere così? Preparare un Berlusconi-bis con l'Udc? o tessere la trama delle elezioni anticipate? Il Cav. ieri mattina ne ha parlato con Umberto Bossi, che rivedrà tra domenica e lunedì ad Arcore. La contrarietà della Lega nei confronti di un ritorno alle urne in primavera è meno netta che in passato, mentre permane una diffidenza assoluta nei confronti dei centristi di Casini. Le urne non preoccupano i leghisti. Secondo un sondaggio riservato che ieri circolava tra alcuni deputati del Pdl eletti al nord, in quella zona del paese il partito di Berlusconi è calato al 20 per cento dei consensi perdendo circa otto punti rispetto alle ultime elezioni. Voti passati interamente al partito padano.
D'altra parte, alla vigilia dello scontro finale tra il Cav. e Fini, giovedì scorso, Renzo Bossi si è trovato a parlare di elezioni anticipate con un amico, confermando la placida sicurezza con la quale si muove in queste ore la Lega: “Papà dice che di andare al voto, in realtà, non gliene importa nulla. Facciamo il pieno di voti. Certo, c'è il rischio che salti il federalismo anche stavolta”. Per questo, se Berlusconi intende puntare verso le elezioni anticipate deve prima essere certo di poter far approvare i principali decreti attuativi del federalismo fiscale entro la fine dell'anno. La data fissata è novembre. Ma resta un'incognita: si può fare anche con la nuova, e meno solida, maggioranza? Anche contro la volontà di un Fini conteggiato dall'opposizione (D'Alema) pronta a un governo di transizione?
In queste ore di intenso tramestio tutto sembra possibile, persino un riavvicinamento strategico del Cav. a Fini (cosa che Berlusconi non ha mai escluso, nonostante la durezza pubblica dello scontro). “Non è il momento di disegnare scenari. Dobbiamo metabolizzare questi ultimi due giorni”, diceva ieri Fabrizio Cicchitto ai suoi deputati che, preoccupati, gli chiedevano lumi. La verità sembra essere che Berlusconi non si aspettava che Fini, ieri durissimo con il premier (“E' un illiberale. La presidenza della Camera non la lascio”) riuscisse davvero a raccogliere attorno a sé trentatré deputati e un numero sufficiente di senatori per costituire anche a Palazzo Madama – nonostante la pesante defezione di Andrea Augello – un gruppo parlamentare. Il premier aveva ricevuto nei giorni scorsi due liste, una dal capogruppo Cicchitto e una dagli ex di An passati con lui. Il primo elenco conteneva ventinove nomi di finiani, ma il premier si era erroneamente convinto che le stime fossero esagerate.
Così alla fine è stato colto un po' alla sprovvista. Forse per questo rinfodererà (per ora) il bellicoso proposito di “far sloggiare Fini dalla presidenza della Camera con fischietti e vuvuzela”. Ma per il premier è un punto d'onore che Fini “prenda esempio da Pertini” (che si dimise), per questo ha preteso, nonostante la contrarietà di Ghedini, Alfano e Giovanardi, che giovedì, nel documento dell'ufficio di presidenza, si aggiungesse anche una ingiunzione di sfratto da Montecitorio.
Giorgio Napolitano ieri ha ricevuto i vertici del Pd e ha espresso preoccupazione per il paventato “assalto” alla terza carica dello stato, Gianfranco Fini: “Non si può non richiamare la necessità di salvaguardare la continuità della vita istituzionale”. Il Quirinale, non è la prima volta, ha voluto che passasse con chiarezza il messaggio che le regole costituzionali vanno rispettate. E dunque niente vuvuzela contro Fini. Basterà? Forse no.
Al premier non sfugge certo la centralità del presidente della Camera nelle operazioni di calendarizzazione. E' durissimo governare avendolo contro. Per questo “Fini va cacciato anche da lì”. Anche se qualcuno, timidamente, prova a suggerire di nuovo la strada del compromesso con l'ex leader di An. Certo gli umori neri non aiutano e il premier non ci pensa nemmeno, piuttosto crede possibile recuperare parlamentari dal gruppo misto, dall'Udc (due) e persino dall'“eterogeneo” gruppo finiano: “Ce ne sono quattordici che si possono ancora riconquistare”. Con qualche incognita. Secondo un sondaggio riservato Ipsos, il partito forte sono gli indecisi: 39 per cento.
Il Foglio sportivo - in corpore sano