Berlusconi-Fini
Le complicazioni amorose di un divorzio politico sul sofà dell'analista
Me ne sto a Ventotene, seduto al bar di un'incantevole piazzetta. Una fanciulla con un nastro rosso tra i capelli canta la “Historia de un amor”. Tutto d'un tratto mi pare d'intendere l'istante preciso in cui Gianfranco Fini decise in cuor suo di uccidere Silvio Berlusconi. Da tempo Fini aveva abbandonato il suo primo dio, il Duce, chiamandolo “male assoluto”, e già si mostrava deluso del suo secondo nume tutelare, quando accadde il fattaccio. La ragazza del presidente della Camera fu sbeffeggiata dalle tivù e dai giornali del Cav., tutti gli italiani ne risero.
Me ne sto a Ventotene, seduto al bar di un'incantevole piazzetta. Una fanciulla con un nastro rosso tra i capelli canta la “Historia de un amor”; due giovanotti l'accompagnano con la chitarra. Sorseggiando il martini sfoglio i giornali. A Giuliano Ferrara Gianfranco Fini promette di stare tranquillo, ma qualcosa dice che il suo odio è irrimediabile. Il Cavaliere l'ha capito e ha deciso di liberarsene. Da qualche minuto l'ho capito anch'io. Es la historia de un amor/como no hay otro igual, canta ispirata la fanciulla dal nastro rosso. Tutto d'un tratto mi pare d'intendere l'istante preciso in cui Gianfranco Fini decise in cuor suo di uccidere Silvio Berlusconi. Da tempo Fini aveva abbandonato il suo primo dio, il Duce, chiamandolo “male assoluto”, e già si mostrava deluso del suo secondo nume tutelare, quando accadde il fattaccio.
La ragazza del presidente della Camera fu sbeffeggiata dalle tivù e dai giornali del Cav., tutti gli italiani ne risero. “Principessa del foro” fu apostrofata dai beffardi corsari dell'impero Mediaset, e a nulla valsero le pronte scuse del Cavaliere, che risuonarono nei timpani del cofondatore come ulteriori sghignazzi. Fini giurò vendetta. Un giuramento che solennemente ripeté quando la graziosa signora dagli occhi innamorati divenne madre dei suoi figli. Altro che una battaglia sui clandestini e la bioetica, allora, e sulla P3 e panzane varie ora; amore oso pensare sia la posta, con i suoi fidi scudieri pronti all'arme: onore e morte. “Meglio rischiare di finire dimenticato come un Rutelli o un Follini – in tutto questo tempo ha rimuginato il presidente della Camera – piuttosto che regnare impietrito accanto a colui che in un modo o nell'altro, per una responsabilità oggettiva e tribale, per il suo maledetto conflitto d'interessi assecondato da una macha indolenza, ha permesso che la mia nuova vita nascesse nel generale ludibrio”. Berlusconi è diventato a sua volta “il male assoluto”, in quanto tale reo di ogni delitto possibile e immaginabile. Spartire il trono con costui? Succedergli? Mai. Fini si ribella per la stessa tragica ragione per cui Amleto non può ricevere la Danimarca dallo zio; per divenire degno di governare deve uccidere chi l'ha prima deluso e poi oltraggiato nei suoi affetti più cari.
Se Fini insiste a restare nel partito è solo perché lo pensa suo di diritto, il diritto del figlio defraudato del suo ideale. Ma poiché di tutto ciò non osa liberamente parlare e nemmeno a fondo pensare, al pari di Amleto si costringe a esibirsi in incomprensibili contorsioni, in stranezze che paiono insensati dispettucci. Non ci ha fatto una gran figura. Nel frattempo però i suoi figli sono cresciuti e prepotentemente hanno conquistato la scena. I fedelissimi con veemenza lo sospingono, lo anticipano, lo trascinano, gettandosi con ardore nella mischia. La vista del padre umiliato risulta loro insopportabile. Anch'essi cercano vendetta, a cominciare dai traditori più loschi, gli antichi compagni d'arme del padre, quei Rosencrantz e Guildenstern ai loro occhi incarnati dai La Russa e dai Gasparri. Ernest Jones, il biografo di Freud, sostiene che Amleto allucina tutto, ansioso di parricidio per via di un suo irrefrenabile edipismo. Quanto Fini e i suoi allucinano e quanto davvero c'è di insopportabilmente misogino nel Cav. e nel suo popolo? Nel Pdl regna l'inquietudine. Turbate, le ministre assistono all'ineluttabile precipitare degli eventi e si sfogano contro gli stupratori, legiferando duri castighi.
Come tutti noi di destra o di sinistra che si sia, tanto esse devono al premier, alla sua gioia di vivere, alla sua simpatia, alla suprema disinvoltura con cui umilia i saccenti e i piagnoni. Ma ora sono cresciute e drammaticamente ne vedono il tallone d'Achille. Non possono dimenticare il silenzio del Cavaliere quando sua moglie fu brutalizzata ed esposta al pubblico dileggio. Ogni volta che una donna subisce un'offesa Satana si frega le mani. Le reciproche forsennate accuse di corruzione e giustizialismo, complotto e golpismo, dittatura e anarchia, sono fuffa per non pensare alla vera questione, quella misoginia che sta all'origine di tutti i disastri. Si comincia con le donne si prosegue con gli ebrei, si finisce con l'odiare qualsiasi cosa. Misoginia è la negazione della differenza, negazione dell'altro, dell'eteros, a favore dello stesso, dell'omos, l'omos-sectio, il pensiero unico vale a dire l'assenza di pensiero, l'omosessualità nel suo significato più vero di omertà.
Finché la misoginia imperverserà in occidente, i talebani prospereranno indisturbati anche se facciamo piovere loro sulla testa milioni di bombe. Bombe che a questo punto altro non sono che le deiezioni di un pensiero che non osiamo pensare, di un impasto pulsionale che non osiamo articolare. Solo la parola, l'invenzione, l'intelligenza delle cose e l'intervento puntuale ci possono salvare. L'uscita di Fini è nella natura delle cose, ma purgando il Pdl dai dissidenti non si risolve niente, occorre ben altro. Occorre che il Pdl rinasca in un pensiero libero da pregiudizi e tornaconti. Occorre un'altra storia, l'historia de un amor, canta la ragazza dal nastro rosso sorridendo birichina. Lei sì che la sa lunga.
Il Foglio sportivo - in corpore sano