Patto di legislatura?

Pdl in confusione tra la tentazione delle urne e un accordo Cav.-Fini

Salvatore Merlo

Si osservano da lontano, si scambiano qualche palindromo segnale di pace ma l'aria resta minacciosa. Né Silvio Berlusconi né Gianfranco Fini sanno ancora bene cosa fare. Il premier è il più interessato a uno scioglimento rapido della situazione, la sua deadline è settembre: oltre non si può andare perché sarebbe tempo regalato a chi – teme lui – si organizza per colpirlo. Il presidente della Camera al contrario ha bisogno di tempo per organizzare le proprie truppe.

    Si osservano da lontano, si scambiano qualche palindromo segnale di pace ma l'aria resta minacciosa. Né Silvio Berlusconi né Gianfranco Fini sanno ancora bene cosa fare. Il premier è il più interessato a uno scioglimento rapido della situazione, la sua deadline è settembre: oltre non si può andare perché sarebbe tempo regalato a chi – teme lui – si organizza per colpirlo. Il presidente della Camera al contrario ha bisogno di tempo per organizzare le proprie truppe, servano queste a rivoltarsi contro il Cav. o a intimidirlo per costringerlo a un negoziato. Eppure le alternative sembrano essere soltanto due: accordo di legislatura tra i neodivorziati del Pdl o discesa in picchiata verso la crisi di governo, Umberto Bossi e Giorgio Napolitano permettendo.

    Domani si vota la mozione di sfiducia al sottosegretario alla Giustizia, Giacomo Caliendo. L'entourage berlusconiano lo considera un passaggio determinante per valutare le intenzioni del gruppo finiano. “Se votano per la sfiducia è crisi di governo”. Ma i finiani, che si riuniscono questa sera per decidere, sembrano intenzionati ad astenersi o comunque a trovare un modo per non votare col centrosinistra pur distinguendosi dalla maggioranza berlusconiana. Dice al Foglio Carmelo Briguglio: “Tra il bianco e il nero esistono molte sfumature di grigio”. Come dire: alla prima uscita parlamentare non sarebbe una buona mossa tattica quella di rassicurare Berlusconi votando con la sua maggioranza, bisogna esprimere un voto che permetta a Pdl e Lega di prevalere ma che contemporaneamente li tenga sul filo.

    Alcuni degli uomini più vicini al presidente della Camera, tra cui Italo Bocchino, ieri hanno cominciato a lanciare messaggi pubblici di pace: “Ci vuole un accordo di legislatura con Berlusconi”. Ma l'ex leader di An, dicono al Foglio, in queste ore non coltiva pensieri irenisti. La freddezza e la flemma di Fini sono famose, ma la campagna di inchieste del Giornale sulla sua famiglia lo ha innervosito “oltre ogni limite”, tanto che nei suoi conciliaboli privati l'ex leader di An non esita ad attribuire esplicitamente una regia politica alle mosse giornalistiche di Vittorio Feltri. Non bastasse, anche le operazioni telefoniche del Cav., molto impegnato in queste ore nel valutare personalmente con ciascun deputato finiano l'opportunità della sua permanenza al fianco di Fini, indispettiscono il presidente della Camera.

    Atteggiamenti poco pacifici,
    questi del premier, pur accompagnati da evidenti aperture al dialogo, come l'intervista rilasciata al direttore della Stampa Mario Calabresi domenica scorsa. La strategia è duplice: mantenere aperta – forse solo tatticamente – la via del compromesso, ma continuando a martellare sul presidente della Camera con l'obiettivo di colpire la consistenza delle sue truppe e, se possibile, di ottenerne prima o poi le dimissioni dallo scranno più alto di Montecitorio. Per il momento questa strategia non sembra funzionare se è vero che due deputati di FI (oltre al dubbioso Santo Versace, anche Chiara Moroni) sarebbero pronti ad aggiungersi ai trentatré finiani che hanno costituito il gruppo Futuro e libertà (Fli). Ma chissà. “Berlusconi non ha nessuna intenzione di farsi logorare”, ripete da giorni il capogruppo alla Camera Fabrizio Cicchitto.

    Il Cav. in realtà – sembra di capire – non ha molta voglia di trattare: non vuole rischiare di consegnarsi nelle mani di Fini. Ma neppure vuole dare agio ai propri avversari di organizzarsi, magari per tendergli un agguato attraverso una crisi di governo “aperta” e non “pilotata”. In queste ore di intenso tramestio la strategia si confonde con le reali intenzioni, per cui si parla di contatti tra il gruppetto di Francesco Rutelli e i finiani, con un gioco di sensaleria da parte dell'Udc di Pier Ferdinando Casini. E forse per la prima volta da molti mesi anche al Pd sta riuscendo di incunearsi nelle contraddizioni della maggioranza. Tutto sembra possibile e ogni genere di manovra, più o meno segreta e trasversale, viene descritta con abbondanza di dettagli al cronista interessato. L'unica cosa certa è che domani il Cav. (e non solo lui) col voto su Caliendo avrà la prova di quanti deputati sono davvero fedeli a Fini. Fossero saldi i numeri fin qui descritti, dopo mercoledì il premier dovrà trarre le conseguenze: accordo o elezioni.

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.