Piccola ricognizione attorno alla strana idea di destra che ha in mente Fini
Confesso che ancora non ho capito molto dello strappo tra Berlusconi e Fini ma da quel poco che ho capito mi sembra una brutta storia, una regressione allo spirito del 1993 quando mani pulite di destra lanciavano monetine contro Bettino Craxi. Una regressione, come direbbero i “tennici”, sistemica. Gianfranco Fini non è una mammola. E' un professionista navigato della politica.
Confesso che ancora non ho capito molto dello strappo tra Berlusconi e Fini ma da quel poco che ho capito mi sembra una brutta storia, una regressione allo spirito del 1993 quando mani pulite di destra lanciavano monetine contro Bettino Craxi. Una regressione, come direbbero i “tennici”, sistemica. Gianfranco Fini non è una mammola. E' un professionista navigato della politica, nella sua lunga carriera non si è mai mostrato particolarmente indulgente nei confronti della dissidenza interna. Si è sempre ispirato a un'idea forte di leadership, costruendo il gruppo dirigente ed epurandolo secondo un rigido criterio di fedeltà politica e personale. Ha addirittura annunciato decisioni importanti prima ancora di sottoporle agli organismi collegiali, una volta li ha pure azzerati ope Regis, con un gesto infastidito della mano.
Denunciare comportamenti illiberali da parte di Berlusconi sembra dunque pretestuoso e vagamente ipocrita. Certo si vedeva anche da lontano che il Cav. mentre leggeva la bolla di scomunica faceva sforzi inauditi per restare allineato e coperto dietro una decisione presa formalmente da un'istanza del partito, per non fare il Grillo, inteso come il Marchese del, e dire vi caccio perché il partito è mio, io so' io e voi nun siete un cazzo, ma tutto questo Fini lo sapeva benissimo. Sapeva che il Pdl sarebbe stato un sistema eliocentrico, un dominio del centralismo teocratico. Sapeva che il Pdl, come già Forza Italia, non si sarebbe mai piegato alla forma-partito egemone in Europa fin dall'inizio del Novecento, mai ne avrebbe mutuato rituali e dinamiche. Sapeva o almeno avrebbe dovuto capire che per avere “futuro” per sé e più “libertà” per tutti avrebbe dovuto dare sempre meno voce al partito e sempre di più agli eletti dal popolo, contribuendo a fare finalmente della politica un esercizio esclusivo, e, a termine, della rappresentanza.
Ma anziché spingere in questa direzione, mettere il suo talento e i cervelli di FareFuturo al servizio del nuovo e giocarsi così il delfinato, Fini ha scelto di tornare all'antico. Come si fa a chiedere discussioni preliminari e di partito su fiscalità, federalismo, welfare e non so cosa altro quando il partito è al governo e dovrebbe trovare lì il suo ambito naturale di mediazione? Ce lo vedete Obama che prima di decidere di salvare il trio Motown si mette a orchestrare e presiedere un beauty contest all'interno del Partito democratico o un Sarkozy fare altrettanto con l'Ump e la riforma delle pensioni? Suvvia, sarebbe surreale e gli elettori direbbero a ragione che avrebbero dovuto pensarci prima, quando stavano all'opposizione e avevano tempo a disposizione. Anche questa rivendicazione di Fini sa dunque di pretesto, di schermo dietro cui si nascondono motivazioni diverse e più profonde.
A rileggere il Fini pensiero degli ultimi anni, viene fuori l'immagine nitida di un leader che più di tutti crede in un'idea centralista dello stato, al punto da aver sposato il sistema istituzionale più stato-centrico al mondo, il presidenzialismo alla francese. Di un leader che più sembra accomodarsi del funzionamento della democrazia così come è. Di un leader che anche prima di ricoprire incarichi istituzionali non è mai sceso in campo a difendere l'individuo malmenato dal potere statale, ha sempre manifestato un'idea immobile, statica e formale della legalità, mostrato rispetto pedissequo nei confronti della corporazione che la legge la interpreta e la applica. La cosa giudicata ha per lui come un che di sacrale quando tutti conoscono gli scempi che si commettono quotidianamente nelle procure e nei tribunali: in tanti anni non ha mai speso una parola per criticare sentenze palesemente sbagliate, valga per tutte quella che ha condannato definitivamente persone innocenti per la strage di Bologna. Insomma, Fini incarna non la destra moderna democratica e liberale ma quella vecchia, repubblicana, conservatrice e statalista, estranea alla libera pattuizione fra parti e a tutto ciò che sa di mercato.
E' di fatto il Di Pietro del centrodestra, solo con maggiore destrezza e duttilità. Alla stregua dell'ex pm vede la riforma della Giustizia come mezzo per oliare la macchina, darle efficienza, non per mettere finalmente al passo una corporazione autoreferenziale e impunita né per riaffermare i diritti fondamentali dell'individuo. Un anno fa forse bisognava chiedersi se Fini e Berlusconi avessero davvero fatto bene a rinunciare a una sobria confederazione del centrodestra per progetti così alti. Oggi bisogna prendere atto che anche progetti bassi, accordi di minima su un surrogato di programma sono impossibili. Pensare a un patto che blindi la legislatura perché sarebbe nell'interesse di entrambi è come prendere vesciche per lanterne.
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