L'offensiva Fiat

Sacconi elogia con juicio il nuovo Marchionne style

Michele Arnese

Maurizio Sacconi non è turbato dal dato Istat di ieri sulla produttività del lavoro che tra il 2007 e il 2009 è calata del 2,7 per cento: per il ministro del Lavoro, è fisiologico che in tempi di recessione lo stesso numero di persone impiegate, grazie a contratti di solidarietà e cassa integrazione, abbia prodotto meno. Sacconi non è neppure preoccupato dall'offensiva in corso di Sergio Marchionne su Pomigliano e sul contratto ad hoc per l'auto.

    Maurizio Sacconi non è turbato dal dato Istat di ieri sulla produttività del lavoro che tra il 2007 e il 2009 è calata del 2,7 per cento: per il ministro del Lavoro, è fisiologico che in tempi di recessione lo stesso numero di persone impiegate, grazie a contratti di solidarietà e cassa integrazione, abbia prodotto meno. Sacconi non è neppure preoccupato dall'offensiva in corso di Sergio Marchionne su Pomigliano e sul contratto ad hoc per l'auto. Anzi, l'intesa su Pomigliano s'inserisce secondo il ministro in un processo riformatore avviato dal governo e dalle parti sociali firmatarie del nuovo modello contrattuale. Invece sulla minaccia fatta trapelare dalla Fiat di voler abbandonare Confindustria Sacconi è perplesso e l'ha attribuito in conversazioni private all'iniziativa di qualche zelante collaboratore.

    Certo che sull'idea di uno spacchettamento del contratto dei metalmeccanici, per dare vita a un contratto ad hoc per il settore auto auspicato di fatto dal vertice Fiat, il ministro del Lavoro non si sbilancia: “Da contrattualista, prima ancora che da ministro, dico che i contratti non hanno connotazioni ideologiche. Quindi è fuorviante discutere i mezzi per raggiungere i fini”. Ciò detto, senza voler appoggiare lo spacchettamento, Sacconi riconosce che il contratto dei metalmeccanici è “applicato dall'Ibm fino all'ultima delle carpenterie”.

    Comunque l'opera di Marchionne è “sincronizzata”. L'intesa di Pomigliano, come peraltro quella di Banca Intesa per l'assunzione di mille impiegati a salario di ingresso ridotto, è figlia del riformismo di Cisl, Uil, Confindustria e governo: “La detassazione del salario di produttività, uno dei primi atti del governo, ha avuto come sbocco naturale la riforma del sistema contrattuale che prevede un contratto nazionale che faccia da cornice per accordi decentrati, anche in deroga, con l'adattabilità al territorio e alle aziende”. Per questo l'accordo di Pomigliano è uno dei simboli del nuovo sistema di relazioni industriali. Altro che “violazioni” dei diritti fondamentali, come quelle denunciate dal sociologo Guido Viale.

    Altro che “globalizzazione dei salari ridotti”, denunciata da un altro sociologo, Luciano Gallino: “I lavoratori guadagneranno mediamente 3.000 euro in più all'anno a Pomigliano, tutti detassati”, chiosa Sacconi. Il ministro piuttosto intravvede una simbiosi tra spirito riformatore del governo e volontà modernizzatrice di Cisl e Uil, “autentici protagonisti delle nuove relazioni industriali egemonizzate fino a pochi anni fa dalla Cgil”.  La sterzata di Emma Marcegaglia, dopo 12 anni di negoziato infruttuoso, ha consentito e agevolato prima la riforma del modello contrattuale e poi, grazie ad essa, l'intesa di Pomigliano. Sacconi comunque riconosce un ruolo propulsivo dell'ad del Lingotto: “La sua mentalità anglosassone che porta alla semplificazione e alla concretezza è coerente con le nuove regole contrattuali”.

    Ma il ministro indica nella politica di governo
    che sinteticamente definisce “meno stato più società” il contesto nel quale le aziende e le organizzazioni sociali non sollecitano più – “come la Fiat guidata da Marchionne” – sussidi pubblici. I corpi intermedi, tutti o quasi – dai sindacati riformisti alla Confindustria, alla nuova aggregazione del lavoro autonomo Rete Imprese Italia, al sistema agricolo Coldiretti-Confcooperative – “non appaiono più aggrappati ai bilanci pubblici come in passato ma capaci di organizzarsi liberamente per determinare maggiore produttività, e quindi maggiore reddito, nonché welfare privato per gli associati”.
    “La nostra bussola – aggiunge Sacconi – è anche un concetto di Marco Biagi: non c'è incentivo finanziario che possa compensare disincentivi regolatori da leggi o da contratti”. 

    “E' quindi giusto e utile che ci sia uno showdown
    per accelerare le nuove regole. Se vogliamo a modo nostro competere con paesi come la Serbia o altri che hanno condizioni più favorevoli in termini di costi dobbiamo quanto meno arrivare a dire che il conflitto è l'ultima ratio nelle relazioni industriali”. Ciò non significa che Sacconi sia entusiasta della produzione Fiat in Serbia della monovolume decisa da Marchionne: “Il Lingotto è un gruppo multinazionale e a noi interessa la dimensione nazionale della sua produzione tale da saturare i siti produttivi”.