Parla Bini Smaghi

I voti della Bce ai governi e i benefici del rigorismo

Michele Arnese

Difende il rigorismo di Angela Merkel e Giulio Tremonti. Incalza il governo italiano su liberalizzazioni e riforme, ma non sulle pensioni. Chiede di rafforzare i rapporti deficit-pil in Europa. Rileva l'eccesso di enfasi della stampa finanziaria internazionale sull'indebitamento europeo. E ribatte a quegli economisti che criticano la rigidità della Bce e prefigurano scenari di disintegrazione dell'euro.

    Difende il rigorismo di Angela Merkel e Giulio Tremonti. Incalza il governo italiano su liberalizzazioni e riforme, ma non sulle pensioni. Chiede di rafforzare i rapporti deficit-pil in Europa. Rileva l'eccesso di enfasi della stampa finanziaria internazionale sull'indebitamento europeo. E ribatte a quegli economisti che criticano la rigidità della Bce e prefigurano scenari di disintegrazione dell'euro. Nel giorno in cui la Bce lascia i tassi invariati – all'1 per cento quello di riferimento – il banchiere centrale Lorenzo Bini Smaghi, in una conversazione con il Foglio, non si esime da alcun tema di attualità e di dibattito. Ieri il presidente della Bce, JeanClaude Trichet, ha definito “accomodante” la politica monetaria dell'Istituto di Francoforte.

    Eppure ci sono economisti di diverse scuole, come Paul Krugman e Paolo Savona, che indicano nelle rigidità anche della Bce la scarsa ripartenza dell'economia. Bini Smaghi non svicola, anzi replica: “La Bce non è stata per niente rigida. Al contrario ha mostrato ampia flessibilità, fino ad adottare misure d'intervento innovative che hanno contribuito a mantenere la stabilità sui mercati finanziari. Se non fossimo intervenuti il 10 maggio mattina, con l'acquisto di titoli, i mercati sarebbero crollati”. Il membro del board di Bce non è un ottimista pregiudiziale, tanto che invita a non farsi illusioni sugli ultimi dati macroeconomici positivi in Europa. “Alcuni sono incoraggianti, soprattutto per quel che riguarda l'export, ma non bisogna illudersi. L'export da solo non basta per crescere in modo sostenuto e assicurare una riduzione della disoccupazione. Ci vogliono investimenti e una ripresa dei consumi. Ciò richiederà tempo”. L'accusa che non soltanto i neokeynesiani avanzano è che l'eccessiva austerità non agevola la ripresa: Bini Smaghi ritiene, ricordando le politiche decise in Germania e anche in Italia, che “in Europa non c'era altra scelta. Quando i risparmiatori cominciano a dubitare della capacità degli stati di rimborsare i propri debiti, non rimane che mettere in atto una manovra correttiva rapida ed efficace, e di natura permanente, che consenta di invertire la dinamica del debito in modo credibile e duraturo”.

    Lo scenario che s'intravvede, però, è un'Europa che stringe i cordoni della borsa ma cresce poco rispetto all'America, dove gli sforzi si concentrano su come sostenere consumi e investimenti, anche se ieri Trichet ha giudicato “lusinghiera” la crescita del secondo trimestre in Eurolandia. Ma Bini Smaghi scorge novità anche negli States: “L'aggiustamento che è iniziato in Europa avverrà anche negli Stati Uniti. Nel dibattito elettorale che si profila oltre Atlantico il partito della spesa pubblica è in difficoltà, mentre c'è una crescente preoccupazione tra i cittadini americani riguardo al debito pubblico”. Si parla anche di tasse, comunque. Ieri il segretario al Tesoro, Timothy Geithner, ha escluso il rinnovo dei benefici tributari per i più abbienti decisi da Bush che sono in scadenza a fine anno. I tagli fiscali, chiosa il banchiere centrale, “sono in contraddizione con la priorità indispensabile del risanamento. Un disavanzo al 10 per cento annuo può solo far accelerare la dinamica del debito pubblico statunitense che non può non preoccupare gli investitori”.

    E' sicuro? Se si legge la stampa finanziaria anglosassone si direbbe che il peso dei debiti statali grava solo sugli stati europei. Oppure la stampa finanziaria internazionale sovrastima il rischio debito di alcuni stati europei rispetto all'indebitamento pubblico degli Stati Uniti? “C'è in parte la considerazione, o forse l'illusione, che negli Stati Uniti il problema del debito pubblico possa essere in ultima istanza risolto con l'inflazione, cosa che in Europa non è possibile perché lo statuto della Bce l'impedisce. Da questo punto di vista i cittadini europei possono stare tranquilli. I problemi di bilancio possono essere affrontati solo con misure di bilancio, non con misure monetarie”. Si potrebbe comunque dire che più che pericoli inflazionistici in Europa molti osservatori temono una deflazione alla giapponese. “Leggo anche io questi commenti ma nessuna, dico nessuna, analisi quantitativa rileva una situazione deflazionistica. D'altronde con un'inflazione che in Europa è all'1,5 per cento, e le aspettative di medio periodo sono del 2 per cento, non ci sono le basi per parlare di deflazione prossima ventura”. 

    Non è l'ultimo appunto che Bini Smaghi rivolge a quegli osservatori che paventano un'imminente deflagrazione dell'euro, disegnando scenari di euro per paesi di serie A ed euro per paesi di serie B: “Il dibattito ha evidenziato che posizioni estreme (“judgment extremism”) sono redditizie in termini di visibilità mediatica. Molti accademici e opinionisti hanno capito che sposare scenari estremi è più redditizio che esaminare i dati di fatto in modo oggettivo. Da qui nascono le previsioni sullo scoppio dell'euro o sul default greco”.

    Dottor Bini Smaghi, non sminuiamo comunque i punti di debolezza dell'euro… “Certo che no. Negli undici anni di euro c'è stata una crescita sostenuta dei paesi più poveri, come la Grecia, l'Irlanda e la Spagna, il che è positivo, ma è avvenuta a un ritmo eccessivo e finanziata con debito privato che poi si è trasformato in debito pubblico, e non c'è stato un controllo sufficiente sulle finanze pubbliche. Bisogna ora creare meccanismi di disciplina più solidi per evitare divergenze di competitività e di finanze pubbliche che sono incompatibili con l'appartenenza a una moneta unica”.
    Sbaglio o sta chiedendo di rafforzare i vincoli di Maastricht, con un abbassamento del limite del 3 per cento del rapporto tra deficit pubblico e pil? “Ho l'impressione che le lezioni della crisi non siano ancora state capite a fondo. L'Europa, e gli Stati Uniti, escono da questa crisi con un debito più alto e un potenziale di crescita ridimensionato. Ciò significa che per mantenere sotto controllo la finanza pubblica si deve avere come obiettivo non il 3 per cento di disavanzo in tempi normali ma l'equilibrio di bilancio. Non basta la manovra di un anno a raggiungere questo obiettivo, ma bisogna ripensare completamente il ruolo dello stato nell'economia”.

    E in Italia? Dopo la manovra finanziaria e i primi decreti attuativi del federalismo fiscale, il membro del board della Bce incalza su riforme e liberalizzazioni: “Molto è stato fatto, ma molto rimane da fare. Basta guardare gli indicatori di rigidità dei mercati dei beni e del lavoro per notare che l'Italia è quasi sempre tra le economie più inefficienti”. Il riferimento, nel caso dei mercati dei beni, è a quei settori dove “i prezzi sono ancora alti, penso ad esempio al settore energetico”. Ma anche in altri comparti, come quello autostradale e dei trasporti, Bini Smaghi invoca una “maggiore competizione”. Sul lavoro, auspica di proseguire il percorso avviato dal nuovo modello contrattuale: “Quello che è avvenuto a Pomigliano deve far riflettere. Occorre prendere atto che il sud Europa ha un mercato del lavoro che non è concorrenziale con i paesi del nord Europa, oltre che con i paesi emergenti. Per questo è necessario rendere ancora più flessibile e competitivo il nostro mercato del lavoro”. Ma calendario alla mano la priorità delle priorità è un'altra: “L'emergenza del mondo avanzato è l'istruzione. Se si vuole cominciare da lì, si dovrebbe porre la fiducia sulla riforma dell'Università, al più presto e preferibilmente prima della pausa estiva, invece di rimandare il voto come si sta facendo da mesi”. E le pensioni? Dimenticanza voluta? Bini Smaghi riconosce che con gli ultimi interventi governativi, come l'adeguamento progressivo dell'età di pensionamento all'aspettativa di vita, ulteriori drastiche innovazioni non appaiono necessarie: “Piuttosto è urgente trovare sbocchi per l'occupazione giovanile, non soltanto per ragioni di crescita ma anche di equità generazionale”.