Tutti i luoghi comuni che verranno presi a calcioni dall'Italia prandelliana
Oggi finisce davvero il Mondiale del Sud Africa. Finisce con un comunicato che arriva nel pomeriggio. La lista dei convocati della prima Nazionale di Cesare Prandelli. Chi ci sarà racconterà l'idea del pallone del nuovo commissario tecnico. Cassano, Balotelli, Amauri, s'è scritto di questi tre perché sono stati gli assenti al Mondiale.
Oggi finisce davvero il Mondiale del Sud Africa. Finisce con un comunicato che arriva nel pomeriggio. La lista dei convocati della prima Nazionale di Cesare Prandelli. Chi ci sarà racconterà l'idea del pallone del nuovo commissario tecnico. Cassano, Balotelli, Amauri, s'è scritto di questi tre perché sono stati gli assenti al Mondiale e quindi l'ovvio gancio per giustificare il fallimento dell'ultima era Lippi. Ci saranno loro tre e ci saranno però anche molti che al Mondiale erano in lista. Perché l'avventura di Prandelli non sarà fatta dai nomi, ma dalle idee: non si dà un gioco alla Nazionale, le si dà un'identità che adesso tutti chiamano mentalità per una convenzione appesa accanto ai lettini da psicanalisti degli allenatori.
Prandelli arriva per ridare dignità a una squadra e a un paese che un mese e mezzo fa l'hanno persa contro Paraguay, Nuova Zelanda e Slovacchia. Il girone più facile del Mondiale è stato un supplizio difficile da accettare. Per il calcio, per la critica, per la gente. E' lì che entra Prandelli: nelle debolezze di un mondo, che adesso fa figo solo se lo chiami sistema, che era il massimo quattro anni fa e che s'è trovato minimo al primo appuntamento mondiale dopo il trionfo del 2006. Per molti il commissario tecnico con il compito più difficile della storia è stato Roberto Donadoni: arrivato dopo la vittoria in Germania, con l'obbligo morale e reale di vincere o di avvicinarsi il più possibile alla vittoria. L'Italia l'ha crocefisso dopo una eliminazione agli ottavi di finale contro la Spagna che avrebbe vinto poi quegli Europei 2008. Ecco, Prandelli dà una spallata a Donadoni: in due anni il mondo è cambiato, s'è capovolto. Il ruolo di ct più complicato della storia è suo. Perché era difficile imitare il successo del 2006, ma è molto più difficile ridare fiducia, stimoli, grinta, rabbia, voglia a una squadra e a una nazione che s'è trovata nell'imbarazzo della disfatta peggiore di sempre.
Che farà? Come si muoverà? Che cosa dirà? Prandelli è diverso da Lippi: aspettiamoci un uomo sereno, poco incline allo scontro personale con calciatori e stampa. Avremo conferenze stampa piene di sorrisi e allenamenti aperti. Non ci sarà “io contro tutti”. Ci sarà lui e noi, intesi come pubblico. Lui con la sua storia da uomo che ce l'ha fatta a risalire da una situazione difficile, come simbolo di quelli che non mettono il pallone davanti a tutto, ma fanno esattamente l'opposto. Con Prandelli ci sarà una comprensione umana che non abbiamo avuto con altri. Indipendentemente dai risultati, l'allenatore visto in questi anni alla Fiorentina è stato un signore: uno che ha dato al pallone e alla gente, ai giocatori e ai tifosi. Per molti calcisticamente è un maestro, uno che insegna, che parla, che racconta. A chi glielo chiede, Prandelli dice di no. Provate a sentirlo: è l'antibanalità in persona. Un'intervista con lui non è mai il condensato di luoghi comuni sul calcio, sulla tattica, sulla tv. Non è nemmeno il racconto delle amarezze della vita, della perdita della moglie, della fatica che si fa ad accettare la morte. C'è tutto con quella delicatezza che l'onestà intellettuale e professionale trasformano in una speciale normalità. C'è lui, come se fosse ognuno di noi. E' per questo che Firenze lo ha amato.
Gilardino che segna, Mutu che è diventato un fenomeno, Montolivo che è cresciuto, la Fiorentina che è passata dalla B alla Champions, sono i motivi che hanno spinto la Figc a scegliere lui. Poi c'è quella storia del maestro: la capacità di lavorare coi giovani, in un momento in cui l'ossessione calcistica è quella di aver perso i propri ragazzi, di non essere più in grado di creare talenti in grado di arrivare su un campo vero e non crollare. Prandelli si presenta con le convocazioni e ci dirà chi è. Lo dirà con una scelta in particolare: Amauri. Sì o no, a lui racconterà molto del futuro dell'Italia. Non per il giocatore in sé, ma nell'idea. Scegliere l'oriundo significa avere quel cinismo che ti rende forte. Perché scegli di allargare i tuoi orizzonti non per un vago senso di imitazione della Germania, ma per potersi portare in Nazionale chiunque ne abbia diritto calcistico oltre che di cittadinanza. Significa prendere a cazzotti un altro luogo comune, significa voler vincere usando ogni mezzo possibile e non con un finto e inutile buonismo identitario. Il problema non è Amauri della Juventus, ma con tutti gli Amauri che ci saranno. Quelli che se ci serviranno saranno italiani anche se non parlano italiano.
Il Foglio sportivo - in corpore sano