Consigli a Rep.
Certi film si vanno a vedere per curiosità, altri per pura perfidia. Solo un anno fa nulla sarebbe riuscito a trascinarci verso un documentario con Noam Chomsky e Brian Eno tra gli intervistati. Pessime anche le credenziali del regista, l'argentino Juan Manuel Biaiñ produttore di “Green Desert”: lacrime e lamenti per la scomparsa della foresta pluviale, tutta colpa della globalizzazione.
Certi film si vanno a vedere per curiosità, altri per pura perfidia. Solo un anno fa nulla sarebbe riuscito a trascinarci verso un documentario con Noam Chomsky e Brian Eno tra gli intervistati. Pessime anche le credenziali del regista, l'argentino Juan Manuel Biaiñ produttore di “Green Desert”: lacrime e lamenti per la scomparsa della foresta pluviale, tutta colpa della globalizzazione. Mai saremmo andati a vedere un documentario intitolato “Articolo 12” – della Dichiarazione dei diritti dell'uomo, quello che garantisce il diritto alla privacy – se non avessimo sentito per mesi lo slogan “intercettateci tutti”. E se anche Repubblica non fosse caduta nella trappola, raccomandando calorosamente l'opera (sottotitolo “Waking Up In A Surveillance Society”, al Festival di Locarno, Settimana della critica) – dopo avere appiccicato innumerevoli post-it giallini in testa agli articoli. Per rendere noto a tutti, in accordo con altre testate, che senza guardare dal buco della serratura non si fa giornalismo.
Intanto è bello rileggerselo, l'articolo 12. Leggerlo, anzi, i diritti umani non sono come i classici che si riprendono in mano ogni estate. Eccolo, per intero: “Nessun individuo potrà essere sottoposto a interferenze arbitrarie nella sua vita privata, nella sua famiglia, nella sua casa, nella sua corrispondenza, né a lesione del suo onore e della sua reputazione. Ogni individuo ha diritto a essere tutelato dalla legge contro tali interferenze o lesioni”. Le intercettazioni che escono dalle inchieste e vengono pubblicate dai giornali non erano neanche immaginabili, al legislatore la fattispecie sarebbe sembrata quantomeno strana.
Gli esperti americani in materia di privacy scomodano Sigmund Freud, fervente sostenitore del diritto di tenere segreti certi aspetti della propria vita. Ognuno di noi ha qualcosa da nascondere: si chiama “privato”, appunto, e fa parte integrante della nostra personalità. A pari merito con l'inclinazione a frugare nelle vite degli altri.
Attivisti e hacker (per non parlar di Chomsky) compongono una dura filippica contro lo stato spione, perfino la richiesta di un documento d'identità viene considerata un attentato alla privacy. Temono il Gps, che sa sempre dove ti trovi. Pensano che a Londra si sia ormai realizzata la profezia orwelliana. Sono convinti che la società della sorveglianza sia peggio del nazismo e dello stalinismo, simile in maniera preoccupante all'Inquisizione di Torquemada. Così parla la sinistra americana, che per motto ha “piantatela di spiarci”, non “intercettateci tutti”.
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