Mozioni di Settembre/ 2

Dal governo del fare si passi a quello del "lasciar fare"

Carlo Stagnaro

Che cosa dovrebbe dire il Cav. a settembre? Con tutto il rispetto, oggi l'errore sta nello slogan, nel “governo del fare”. Le parole hanno sostanza e vanno scelte con cura. Così, per pulizia terminologica la mozione settembrina dovrebbe rottamare il governo del fare e sostituirlo col governo del lasciar fare. Il motivo è persino banale: dal fare all'arraffare il passo è breve (sicché il popolo dipietreggia) e ancor più breve lo è, scambiando libertà per licenza, tra il fare e lo strafare.

Leggi la mozione di Sergio Soave - Scrivete la vostra mozione di settembre su Hyde Park Corner

    Che cosa dovrebbe dire il Cav. a settembre? Con tutto il rispetto, oggi l'errore sta nello slogan, nel “governo del fare”. Le parole hanno sostanza e vanno scelte con cura. Così, per pulizia terminologica la mozione settembrina dovrebbe rottamare il governo del fare e sostituirlo col governo del lasciar fare. Il motivo è persino banale: dal fare all'arraffare il passo è breve (sicché il popolo dipietreggia) e ancor più breve lo è, scambiando libertà per licenza, tra il fare e lo strafare. Invece il lasciar fare riconduce tutti a una dinamica dove, per avere buon pane, il cliente non corrompe il fornaio, ma si affida alla sua brama di profitti e, mal che vada, cambia panificio. Nella mozione il Cav. dovrebbe chiedersi, con Jean-Baptiste Colbert, ministro delle Finanze di Luigi XIV, “cosa possiamo fare per i mercanti?”. E rispondersi, col mercante Le Gendre, “laissez-nous faire”, che berlusconianamente si potrebbe rendere: “Andate al diavolo”. Mandare lo stato a quel paese significa tornare ai principi primi, che furono e sono le tasse. Tagliare tagliare tagliare, e tagliare sul serio.

    Per esempio, stimolare la crescita
    abbassando ciascuna aliquota Irpef del 15 per cento: Chiara Rapallini e Aldo Rustichini hanno stimato una perdita secca di gettito di 18,8 miliardi di euro, e uno spostamento del carico verso il quintile di reddito più alto. Un'operazione anche più radicale andrebbe condotta sulla fiscalità per le imprese: l'ufficio studi Mediobanca avverte che, per alcune aziende, la pressione fiscale arriva all'80 per cento (maledetta Irap). In queste condizioni, la caccia all'evasore è lotta contro la sopravvivenza. Il nero è figlio di un sistema fiscale oppressivo e barocco: la riforma fiscale è l'unica forma di lotta all'evasione che sia virtuosa e possibile. Resta il problema di come assorbire questi benedetti 18,8 miliardi di euro. Da qui il secondo punto della mozione: lo stato fa troppe cose. Tagliare le unghie al fisco è anche un modo per affamare la bestia, costringere il settore pubblico – sia a livello nazionale sia locale – a fare meno e lasciar fare di più. Ossia, liberalizzare.

    Troppi settori, dall'energia ai servizi pubblici locali, dalle poste ai trasporti, sono ancora ostaggio dell'intervento pubblico. Fare piazza pulita equivale a rimuovere le barriere all'ingresso (per lo più barriere normative e regolatorie, ma anche fiscali e parafiscali) e privatizzare i soggetti pubblici. Privatizzare (compreso l'immenso e mal utilizzato patrimonio edilizio) risponde pure a un'altra esigenza: trovare risorse per ridurre il debito pubblico. Ergo, meno tasse, meno stato, meno debito. E poi? Poi c'è la più tremontiana delle liberalizzazioni: la deregolamentazione. Norme e tasse sono, in un certo senso, equivalenti: impongono un prezzo a certi comportamenti, ne incentivano o impongono alcuni, e disincentivano o vietano altri. Specie se vengono applicate in modo frammentario, quando va bene in modo arbitrario, quando va male capriccioso. Ciò previene la creazione di ricchezza. Semplificare il quadro legale è, allora, necessario per far crescere l'Italia, rendendola attrattiva per gli investimenti, anziché ostile. Non solo: come nell'iper-tassazione sta la causa ultima dell'evasione, nell'iper-legislazione c'è il motore primo della corruzione.

    Se vuole la ripresa economica,
    il governo non deve fare di più, ma di meno; non aggiungere, ma togliere. In breve, non “fare”, ma disfare per lasciar fare, ossia lasciar produrre secondo capacità e fallire secondo necessità. La mozione d'autunno, insomma, può servire a iniettare un poco di aristotelico buonsenso nella testa del premier: fare l'imprenditore e fare l'imprenditore politico sono due mestieri diversi. Nel primo caso, Berlusconi ha avuto successo facendo il Berlusconi. Nel secondo, per avere successo deve fare il meta-Berlusconi e spianare la strada ai tanti berluschini che, oggi, affogano nel fango della crisi, appesantiti da leggi e debito, stato e tasse.

    Leggi la mozione di Sergio Soave - Scrivete la vostra mozione di settembre su Hyde Park Corner