Amichevoli considerazioni sul caso Verdini
I moralisti di Sputtanopoli
Non ho competenze in materia di diritto bancario, e questo giornale non ha alcuna relazione con la banca di credito cooperativo presieduta dal nostro partner editoriale Denis Verdini, ma so abbastanza di politica, e di abuso mediatico-giudiziario della politica
Non ho competenze in materia di diritto bancario, e questo giornale non ha alcuna relazione con la banca di credito cooperativo presieduta dal nostro partner editoriale Denis Verdini, ma so abbastanza di politica, e di abuso mediatico-giudiziario della politica, per capire certi delinquenziali titoli di giornale seguiti all’ispezione della Banca d’Italia (“Così Verdini svuotava il forziere”), certi bassi toni corsivistici, certe ridicolaggini ben mascherate da atti d’accusa. Ho già detto che non metto la mano sul fuoco per Verdini, non avendone titolo nemmeno come suo amico (dagli amici deve attendersi amicizia, non omertà, che è l’amicizia tra complici o la sottomissione a una legge tribale), e Verdini ha correttamente risposto che ci pensa lui, a mettere la mano sul fuoco. Ma che sia in atto la mostrificazione, l’ennesima, di un uomo pubblico, e che codesto procedimento sia di natura strumentale e politica, difficile dubitarne.
Saremo più tranquilli quando ci avranno dimostrato, ispettori e pm, che la banca di Verdini ha prestato denaro in modo avventato, senza garanzie; che lo ha prestato non già a clienti favoriti, animali non rari nel credito bancario anche molto established, ma a soci in affari e per scopi di lucro personale; che il presidente dimissionario del Credito cooperativo di Firenze ha inferto all’istituto scalato vent’anni fa, e trasformato in una banca intraprendente e piuttosto spregiudicata nella governance, un danno patrimoniale, andando contro gli interessi dei depositanti. Saremo tetragoni nella presunzione di innocenza fino a che questi addebiti resteranno materia di chiacchiera e di insinuazione titolistica, partendo dalla ipotesi di un conflitto di interessi potenziale segnalata da indagini che non hanno messo capo ancora nemmeno a un rinvio a giudizio, ma che nutrono infiniti sospetti politici di appartenenza a società segrete, forse la loggia di Mozart e Haydn, forse quella di Flavio Carboni, amico e sodale del compianto principe Caracciolo, persona di grande garbo e di cattive frequentazioni come tutti gli immoralisti e alcuni estremi moralisti.
Verdini è un generoso e simpatico pasticcione, e anche un politico avventuroso e pieno di passione, e un correttissimo partner della nostra testata (ciò che dovrebbe fare notizia, viste le spericolate congiunture in cui si sono trovati partner editoriali dei giornali che gli e ci fanno la morale). Pasticcione vuol dire che sbaglia talvolta gli inviti a cena, che considera la società civile degli affari una parente un po’ troppo stretta della politica (raccomandazioni eccetera), e che si dà da fare senza sprezzo del pericolo in un paese, Sputtanopoli, pullulante di ipocriti, di bugiardi, di ladri travestiti da gentiluomini. Si è dimesso correttamente, visto il livello della pressione ispettiva sulla banca che presiedeva, e ha diritto di darsi il tempo della chiarificazione, ma senza cedere a intemerate e minacce diffamatorie a mezzo stampa, oggi come banchiere e forse domani come politico. Detto questo, per fare di una persona un mostro, anche solo del diritto bancario, anche solo un mostro amministrativo, ci vuole qualcosa di più che non le forbite cartelline dell’ispezione Bankitalia e le velenose attenzioni di volenterosi mozzorecchi.
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