Bot da orbi tra liberisti/ 2

Sbaglia chi paragona il risparmiatore a un “rentier”

Francesco Forte

L'espressione “tassazione delle rendite finanziarie”, per i redditi ricavati dai titoli a reddito fisso e dalle azioni dell'azionariato diffuso, è stata inventata per screditare questi risparmiatori, come fossero “rentiers”. La “rendita”, nel linguaggio economico, è il “surplus” come la rendita della terra, un reddito non guadagnato, ma piovuto dal cielo. E' noto che nella cultura marxista i rentiers sono perversi sfruttatori del popolo.

    L'espressione “tassazione delle rendite finanziarie”, per i redditi ricavati dai titoli a reddito fisso e dalle azioni dell'azionariato diffuso, è stata inventata per screditare questi risparmiatori, come fossero “rentiers”. La “rendita”, nel linguaggio economico, è il “surplus” come la rendita della terra, un reddito non guadagnato, ma piovuto dal cielo. E' noto che nella cultura marxista i rentiers sono perversi sfruttatori del popolo.

    Pregherei dunque l'amministratore delegato di Intesa Sanpaolo,
    Corrado Passera, banchiere di alta qualità, e che anche nell'intervista di ieri al Corriere della Sera ha fatto osservazioni generalmente accettabili, di usare il termine neutro “redditi delle attività finanziarie”. Ciò precisato, non mi pare che il regime di cedolare secca del 12,5 per cento su questi proventi sia un trattamento di grande favore. Infatti, per la tassazione degli interessi sui titoli a reddito fisso, occorre tenere presente che si tratta, per una parte, di un reddito apparente, che costituisce il compenso per l'inflazione. Con il tasso di inflazione all'1,7 per cento, una remunerazione nominale del 3 per cento corrisponde a una reale dell'1,3. Ora su mille euro, al 3 per cento, gli interessi sono 30 euro. Il 12,5 di 30 euro è 3,75 euro. Sul reddito reale di 13 euro si tratta del 29 per cento. I dividendi delle azioni fanno parte dei profitti delle società, ove sono colpiti dall'imposta sulle società e dall'Irap. Il carico sui profitti di queste due imposte, anche prescindendo dalla quota di Irap sui costi del lavoro, supera il 40 per cento. C'è un trattamento di favore delle plusvalenze delle azioni, che subiscono la cedolare secca del 12,5 per cento, mentre non sono tassate presso la società. Ma nel complesso, tenuto conto della doppia tassazione di dividendi, prima presso le società, con aliquote non dissimili da quella massima dell'imposta personale sul reddito, e poi presso l'azionista, colpito da cedolare secca, non mi pare che il reddito dell'azionariato diffuso abbia un trattamento di favore rispetto agli altri redditi.

    E' vero che nell'Unione europea si sono ipotizzate aliquote di cedolare secca sui redditi delle attività finanziarie dal 18 per cento in su. Ma questa direttiva deriva dal rifiuto da parte del mercato finanziario di Londra di rendere noti i nominativi degli investitori. E per i paradisi fiscali il prezzo del segreto bancario comporta una cedolare del 27 per cento. Non bisogna confondere questa patologia finanziaria con la fisiologia tributaria. In ogni caso, devo aggiungere che dal punto di vista della teoria economica dell'imposta vi sono solidi argomenti per tassare il reddito del risparmio meno degli altri redditi. Infatti questo reddito, dal punto di vista soggettivo, è il compenso per la rinuncia a consumare, ossia alla utilità soggettiva di quel reddito. E, da questo punto di vista, tassare il reddito mandato a risparmio e poi il reddito frutto del risparmio, cioè della rinuncia a godere della utilità del reddito, è una doppia tassazione. Si può negare che lo sia, dal punto di vista oggettivo, se si osserva che anche per la produzione del reddito derivante da quello mandato a risparmio vi è un apporto del governo con le sue spese. Ma non tutte le spese pubbliche sono fattore di produzione. Le imposte sul reddito che il reddito del risparmio deve come compenso dello stato-fattore di produzione sono meno di quelle che servono a finanziare l'intera spesa pubblica. Dunque il reddito del risparmio va tassato meno del reddito mandato a risparmio, perché diversamente vi è una distorsione. E comunque i soggetti economici normali tendono a sottovalutare i bisogni futuri e a risparmiare meno di quel che farebbero se l'io-presente si identificasse perfettamente con l'io-futuro. So bene che la teoria che ho esposto, che risale a economisti obsoleti come Einaudi e Pigou, viene disprezzata dai macro-economisti keynesiani. Ma con il disprezzo del risparmio si è arrivati alla crisi mondiale attuale. Forse è questo andazzo che è obsoleto.