Ritorno alla politica come sfida
Lo dicevamo: il governo ha fatto parecchie cose di peso, assieme ad alcune discutibili e controverse; non ha senso impantanare l'esecutivo e il Parlamento in una palude in cui il fango e i miasmi rendono l'aria irrespirabile. Non si capiva come fosse stato possibile lasciare che i fatti e gli interessi di fatto del paese fossero travolti in un turbinio di chiacchiere velenose. Berlusconi ieri ha riparlato di riforme con un certo rigore, anche su materie coriacee e divisive come la giustizia il federalismo e le tasse.
Lo dicevamo: il governo ha fatto parecchie cose di peso, assieme ad alcune discutibili e controverse; non ha senso impantanare l'esecutivo e il Parlamento in una palude in cui il fango e i miasmi rendono l'aria irrespirabile. Non si capiva come fosse stato possibile lasciare che i fatti e gli interessi di fatto del paese fossero travolti in un turbinio di chiacchiere velenose. Berlusconi ieri ha riparlato di riforme con un certo rigore, anche su materie coriacee e divisive come la giustizia il federalismo e le tasse, e ha dato al suo discorso un'impostazione decisionista: alla ripresa delle Camere o si fa così, per rispetto agli elettori e alla loro sovranità, oppure si vota tranquillamente in tempi rapidi. Il tono era di sfida, ma non provocatorio. L'impulso è istituzionale, non antiparlamentare. E la rivendicazione del potere di iniziativa della maggioranza non aveva niente di autoritario, di esclusivista; al contrario, il documento esposto dal capo del governo e del Pdl figurava come una messa a punto lineare e semmai troppo a lungo ritardata di un criterio basilare della vita pubblica in una liberaldemocrazia.
Ora tutto dipende dal “come”, visto che il “che cosa” è stabilito. Una via è quella della rigidità difensiva, una versione d'attacco dell'arroccamento, la ricerca dell'incidente o dell'espediente per ottenere una ennesima sonora affermazione elettorale. Sarebbe un rientro nella dimensione della pura e semplice propaganda. L'altra via non è la cedevolezza, il negoziato paralizzante, la decostruzione di un programma dei tre anni e la sua scomposizione in piccole leggi che non riformano e non risolvono. L'altra via è quella di un recupero di compostezza anche formale, di un orientamento di lavoro serio anche negli snodi politici più professionali: occorre un'iniziativa di proposta e di scambio verso l'opposizione, altri settori parlamentari compresi quelli della piccola diaspora finiana, le forze sociali, i diversi poteri della Repubblica, ma tenendo fermo il vincolo di una decisione assunta, che essendo decisione di maggioranza i cittadini hanno il diritto di vedere realizzata.
Queste riforme sono da anni, come tutti sanno, l'essenza del molto diffamato e molto votato “berlusconismo”, e spesso sono puro senso comune. In particolare quella su cui si scatenerà la massima linea di tensione: la giustizia. Processi brevi, diritti garantiti, un sistema di contrappesi alla vocazione forcaiola e faziosa di parte della magistratura. Si può non essere d'accordo, si può e si deve discutere in tempi stretti, poi deve passare la linea della maggioranza oppure la decisione deve tornare nelle mani della società. Altrimenti si continuerà a perdere tempo con storie di veline e di appartamenti.
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