“Che ci tieni lì, un pappagallo?”
Budgie smugglers: e alla fine il risultato delle elezioni generali australiane del 21 agosto prossimo sarà dipeso dalle protuberanze fisiche più caratteristiche dei due candidati principali. L'attuale premier, la laburista Julia Gillard, ha lobi delle orecchie particolarmente sporgenti (secondo i sempre impertinenti media locali, lei li nasconde sotto un caschetto lisciato da donna manager).
Budgie smugglers: e alla fine il risultato delle elezioni generali australiane del 21 agosto prossimo sarà dipeso dalle protuberanze fisiche più caratteristiche dei due candidati principali. L'attuale premier, la laburista Julia Gillard, ha lobi delle orecchie particolarmente sporgenti (secondo i sempre impertinenti media locali, lei li nasconde sotto un caschetto lisciato da donna manager). Il suo rivale, il Liberal Tony Abbott (in Australia, il Partito liberale è quello dei conservatori), grazie alle sue doti mascoline, chiaramente in vista ogni volta (e succede molto spesso, persino in campagna elettorale) che indossa quello slip in nylon da bagno – Speedo, una marca nazionale – che i suoi connazionali con impareggiabile humour locale chiamano i budgie smugglers – come se qualcuno cercasse di nascondere un piccolo (e magari prezioso) pappagallo nelle mutande per un illecito espatrio.
I giornali, le riviste femminili e i servizi televisivi si sono gettati a rovistare dietro alla neo premier Julia Gillard – che governa l'Australia soltanto dal 25 giugno quando è riuscita a defenestrare il suo amico e collega Kevin Rudd con un golpe interno tanto meschino quanto efficiente – per trovarne il tallone d'Achille. Con la tipica impudenza dei media anglofoni, hanno cercato di pigiare sul tasto del suo celibato un po' irregolare e sulla pochezza delle sue capacità domestiche: questa 49enne figlia di poveri immigrati arrivati dal Galles quando la cagionevole Julia aveva cinque anni non si è mai sposata, ha avuto una serie di relazioni con uomini poco raccomandabili (l'attuale, Tim Mathieson, è un parrucchiere per signore che non appare mai in pubblico con la compagna), non ha avuto figli e non sa gestire la propria casa con l'efficienza iconografica richiesta dal caso: intervistata in cucina qualche anno fa dalla tv australiana, si notava la ciotola per la frutta (gli australiani ne sono grandi e golosi consumatori) completamente vuota. Gaffe mostruosa.
Non è brutta – somiglia vagamente all'attrice americana Jodie Foster –, non si veste troppo male (gli australiani si sentono a loro agio soltanto in tenuta sportiva o come minimo ultra casual), i capelli color geranio con taglio alla Hillary Clinton sono chiaramente tinti: ma sotto sotto si intravedono quei lobi mostruosamente grandi. Anzi, elefantiaci. Sarà eleggibile?
E' difficile articolare a chi non è australiano come funziona questo spirito umoristico un po' goliardico e un po' infantile, sempre abbastanza volgare e molto esplicito, e come può incidere sul dibattito nazionale politico e culturale. Molto più che per quanto riguarda i media britannici (specialmente i tabloid) e la classe politica di Westminster, il circuito australiano è durissimo e spietato: chi non ha una pelle da rinoceronte non sopravvive un minuto. E malgrado il sistema politico e quello legale siano modellati su Westminster, l'elenco delle imprecazioni e insulti consentiti alla Camera bassa di Canberra è molto più lungo e permissivo. I giornali si divertono persino a segnalare i nuovi, fantasiosi insulti che i deputati “ozzie” si urlano fra di loro, come impugnassero le clave di Fred e Barney negli “Antenati”.
Julia Gillard è riuscita a eliminare il predecessore Kevin Rudd non soltanto perché lui dava segno di avere perso il polso della situazione politica, ma anche perché lei possiede uno spirito pronto e una linguetta affilata, mentre l'accademico ex diplomatico Rudd (che parla il cinese mandarino perfettamente) non sapeva disputare bene né in aula né in tv, dove spesso perdeva le staffe.
Nonostante una certa freddezza di carattere – la sua carriera professionale, da ragazza povera qualificatasi avvocato, che si è avvicinata al mondo dei potenti sindacati dello stato di Victoria prima di buttarsi in politica, è stata tutta fatta a denti stretti, con forza di carattere e senza concessioni alla femminilità – la Gillard possiede una virtù talismanica per il suo popolo adottivo: passa per una “Aussie battler”, cioè una persona di modesta formazione culturale che però si è battuta con grinta e pervicacia per sopravvivere e poi migliorare le proprie condizioni.
Non avendo un vero marito, e tanto meno figli, da esporre in campagna elettorale (come in ogni paese di cultura originaria protestante, un politico non fa strada senza una famiglia da esporre), la Gillard ha tirato fuori i genitori, ancora vivi e vegeti in un modesto “retirement village” vicino ad Adelaide nello stato di South Australia. Icone viventi del massimo mito nazionale: sono dei “ten pound poms”, quei britannici poveri arrivati negli anni 50 e 60 per la modica cifra di dieci sterline quando l'Australia praticava una politica nettamente razzista di soli immigrati bianchi – e quindi sono perfetti per garantire la validità e l'integrità personale della figlia che ha bruciato tutte le tappe.
Il candidato per l'opposizione di destra è nato, come la rivale, nel Regno Unito, ma da genitori australiani benestanti e colti, rientrati a Sydney dove lui ha fatto ottimi studi prima di tornare a Oxford come borsista della Rhodes Scholarship (esattamente come Bill Clinton). Ma Tony Abbott possiede un carattere così perfettamente australiano – disinvolto, ipersportivo, apparentemente modesto, generoso e alla mano – che nessuno può considerarlo uno snob elitario. Dopo nove anni passati a fare esperienza nel governo di John Howard, il precedente premier della destra (formata come sempre da una coalizione fra i Liberal simili ai Tory britannici e i Nats – il National party, più piccolo, un partito soprattutto agreste, socialmente molto più conservatore) – l'abilità di Abbott nel presentarsi in televisione, in Parlamento e fra la gente è da fuoriclasse, persino superiore a quella della già vispa Gillard. In un recente “town hall meeting” a due (prima la Gillard poi Abbott si sono presentati agli elettori locali in una piccola cittadina anonima per trenta minuti ciascuno), la Gillard sembrava la preside di una scuola, efficiente ma distante, sopra al palco e davanti alla sala; quando è toccato ad Abbott, è subito sceso per muoversi fra la gente, a godersi il bagno di folla, e poi la vittoria, ripreso dai media nazionali.
Nonostante i tentativi dei media liberal (ma non Liberal, che in Australia vuol dire ancora destra) e di sinistra di caricaturizzarlo come un deficiente di destra all'americana, a metà fra George W. Bush e Sarah Palin, “il candidato premier meno adatto a dirigere l'economia nazionale da oltre mezzo secolo”, Abbott ha fatto ottimi studi, laureandosi in Politica ed economia a Sydney, con un master a Oxford. Ha scritto diversi libri ed è riconosciuto da buona parte dei pundit – i commentatori politici e culturali – come uomo di ottima dialettica che ha la capacità di formulare idee politiche con rigore e sostanza, in tempi brevi: e sa addirittura farsi capire dagli elettori con parole semplici. Quello che inorridisce l'élite liberal di Sydney, Melbourne, Brisbane, Canberra, Adelaide e Perth è che Abbott è un cattolico abbastanza integralista la cui fede informa ogni aspetto della performance politica. Ha frequentato un seminario a Sydney dove per alcuni anni ha creduto di diventare prete (alla fine il desiderio di sposarsi e fare figli è stato più forte); il suo principale maître à penser rimane tuttora il controverso cattolico sociale ultraconservatore Bob Santamaria, figura molto significativa nella recente storia politica australiana per diversi motivi.
Da ministro della Sanità Abbott ha cercato a lungo di bloccare l'uso della pillola Ru486 (alla fine i medici l'hanno spuntata), e oggi si oppone all'aborto e alle ricerche sulle staminali. E inneggia spesso e volentieri a quelle donne che – diversamente dalla Gillard – decidono di rimanere a casa a produrre tanti figli.
Ovviamente, la lobby femminista lo tiene in uggia. Come pure quella ambientalista, per il suo scetticismo forte sulle tesi del global warming che sono state il Sacro Graal durante il premierato di Kevin Rudd (che adesso è stato chiamato da Ban Ki-moon a fare parte del comitato dei saggi dell'Onu che se ne occupa).
Nei suoi quasi tre anni sotto il governo dell'intellettuale di sinistra Kevin Rudd, l'Australia sembrava diventata il paradiso degli obamiani ambientalisti, con proposte di legge molto forti per introdurre un sistema di carbon trading, e poi una tassa del 30 per cento sui profitti delle grandi multinazionali delle miniere che hanno fatto la fortuna del paese. Per i primi due anni Rudd è stato il premier piu popolare nella storia della sua nazione: ma non riuscendo a convincere il Parlamento a far passare le leggi ambientaliste, e subendo una martellante campagna pubblicitaria pagata dalle società minerarie (BHP Billiton, Rio Tinto Zino, Xstrata e Fortescue) contro la tassa punitiva sui profitti delle miniere (minacciavano di abbandonare il paese per altri lidi), ha perso il controllo del governo e si è fatto liquidare dalla vice, Julia Gillard.
Proprio come la Gillard, ma qualche mese prima di lei, Tony Abbott ha compiuto un golpe interno al suo partito, spodestando il leader Malcolm Turnbull, che a differenza dello sportivo, goliardico social conservative, climate sceptic e monarchico Tony era un social liberal, sostenitore delle tesi ambientaliste del laburista Rudd e presidente del comitato per la Repubblica australiana.
Il forte scetticismo sul catastrofismo ambientale degli ex leader, Rudd e Turnbull, sembra incidere molto sull'elettorato, che lo premiano con un più sette per cento nelle ultime settimane, un trend che la Gillard ha notato con allarme. Non soltanto ha stretto un patto di desistenza con le grandi aziende minerarie per rimandare alle calende greche le tasse sui profitti, ma adesso non parla più della Carbon Taxing Initiative (CTI) di Rudd, il vero vangelo della sinistra australiana, preferendo mostrare il proprio spirito progressista con il Nbn, il National Broadband Network, un costosissimo progetto per portare l'Internet a banda larga dappertutto in cinque anni. Un “grand travail” in stile Mitterand che Abbott considera uno spreco di soldi del contribuente.
Abbott è trattato come un cavernicolo antidiluviano non soltanto dai media liberal ma anche dai blogger: oltre 110 mila australiani sottoscrivono la pagina Facebook per Gillard premier, contro gli 11 mila per Abbott; mentre la pagina “Dite agli amici di non votare Abbott” ha più di 100 mila iscritti, e vanta centinaia di ritratti, spesso taroccati, di Abbott come reazionario, omofobico (il suo migliore amico è Christopher Pearson, un famoso elzevirista, apertamente gay), colpevole di mille reati contro l'ambiente, i diritti delle donne, degli operai e degli aborigeni, e così via. Ma i sondaggisti calcolano che le elezioni saranno vinte o perse in una decina di seggi nel Queensland (casa dello spodestato leader laburista Rudd, i cui residenti ce l'hanno a morte con Gillard) e nel più popoloso New South Wales, soprattutto da parte di elettori della terza età che non usano tanto Facebook.
L'opportunismo e il cinismo tattico della Gillard sono malvisti anche dai pundit filolaburisti, che hanno notato che le prime settimane della sua campagna elettorale sono state un disastro: per neutralizzare un'iniziativa contro i Liberal sull'immigrazione abusiva (tema molto sentito, soprattutto dagli elettori più anziani), la Gillard ha annunciato un accordo con il governo di Timor est per un Centro smistamento degli immigrati, ma è stata rapidamente smentita dall'irritatissimo premier timorese Xanana Gusmao. La “terzomondista” Gillard è persino riuscita a farsi ritrarre come un'imperialista di vecchio stampo.
L'impressione di opportunismo sfacciato è stata rafforzata dalla presenza inaspettata della premier laburista, che aveva ostentato con molta enfasi il suo essere atea (mandando in visibilio la sinistra laburista) soltanto qualche mese fa, a una cena per la raccolta fondi a Sydney organizzata dalla chiesa cattolica per i festeggiamenti in onore di Mother Mary MacKillop (che il 17 ottobre prossimo sarà dichiarata santa a Roma), evento che si vive in Australia, e non soltanto da chi è cattolico, con immenso orgoglio nazionale. I media sempre cinici si sono divertiti con le foto della pasionaria anticlericale Gillard seduta accanto all'ultra conservatore cardinale arcivescovo George Pell alla cena, con titoli come: “La prima premier atea rastrella voti alla cena per la prima santa australiana”.
A questo punto, con i sondaggi quasi pari, gli strateghi laburisti sperano nella tradizione: nessun governo a Canberra è mai stato bocciato nella prima legislatura dall'elettorato dall'anno 1949. Con legislature triennali, gli elettori preferiscono in genere dare ai governanti qualche chance di governo, “a fair crack of the whip” – “fairness” – equità o giustizia – essendo un valore australiano molto sentito. Il loro sistema impone anche l'obbligo del voto, che di conseguenza rende altissimo l'afflusso alle urne, offrendo quindi anche ai partiti marginali qualche spiraglio.
E grazie all'abbandono – forse tattico – di due importanti iniziative ambientaliste, ora Julia Gillard studia con orrore l'ascesa nei sondaggi dei Verdi, che ormai vantano un inaudito 13 per cento nei sondaggi al voto, quasi tutto sfilato all'immenso bacino laburista. Se i media liberal – e i blogger – fanno di tutto per dipingere Abbott come un pericoloso reazionario neoliberista, la tendenza crescente a percepire la Gillard come una cinica e fredda opportunista che non crede ormai in nulla, tranne al potere, si espande con virulenza.
Incurante del fatto che anche lui ha spodestato il mite predecessore Turnbull soltanto nove mesi fa con la stessa manovra, Abbott non ha perso tempo a denunciare la Gillard come una Lady Macbeth che ha “ucciso” il “liberamente eletto” predecessore Rudd, soltanto per il gusto del potere. Ai pundit australiani, il caso Gillard-Rudd richiama molto quello inglese Blair-Brown, e nemmeno il piu viscerale socialista crede che il premierato Brown sia stato altro che un fallimento.
Ma – nonostante la questione annosa dei lobi troppo grandi – la Gillard continua a piacere come persona, soprattutto all'elettorato femminile australiano: 46 per cento contro il 32 per cento per il macho Abbott, mentre con l'elettorato maschile i valori sono quasi inversi. E se perde negli stati dove la sua perfidia macbethiana è maggiormente sentita (nel Queensland dell'ex premier Rudd, arranca al 36 per cento contro il 48 per cento di Abbott) e nel New South Wales (dove Abbott è di casa – quindi 45 per cento contro 38 per cento per i laburisti), il premier laburista continua a convincere gli elettori nel suo “home state” (South Australia, 46 per cento) e nel Victoria (dove ha vissuto da adulto), con il 42 per cento. Il rivale spera nella percezione che il Partito laburista abbia perso ormai onestà e rigore etico e si sia trasformato, soprattutto sotto l'attuale leadership della Gillard, in un veicolo buono soltanto a gestire il potere. Il personaggio anfetaminico di Abbott, che ha speso buona parte della campagna a dimostrare la sua energia fisica, viene invece preso in giro dagli oppositori come un idiota con poco cervello e troppi muscoli. Difatti, con un fisico asciuttissimo, e uno spirito da giocherellone similberlusconiano (fa salti mortali con nonchalance davanti alle telecamere, come fosse un bambino che sfida gli amichetti nell'ora della ricreazione), è facile intravedere quel fascino per la vocazione sportiva e l'energia macho a non finire che ha caratterizzato le carriere di Vladmir Putin, Nicolas Sarkozy.
Se in America esiste tuttora (a sinistra quanto a destra) un forte tabù contro le mise sportive troppo rivelatrici (gli americani portano sempre il boxer in piscina e in spiaggia), in Australia esiste una strana convenzione al contrario. Quindi il velocista Abbott, fra un triathlon e l'altro, o una seduta da bagnino sulla spiaggia si esibisce sempre nei suoi budgie smugglers rossi (dovunque lui vada, ci sono dei giovani contestatori vestiti solo in budgie smugglers rossi per prenderlo in giro), o nel costume ancora piu stretto e succinto del ciclista, dimostra senza pudore e anzi con voluttà esplicita tutta australiana, che ha le palle – letteralmente e metaforicamente – per governare l'Australia per i prossimi tre anni dopo il 21 agosto.
Il Foglio sportivo - in corpore sano