Maggioranza a tempo

Il Cav. lascia Casini all'uscio e addomestica Bossi (ma non Tremonti)

Salvatore Merlo

L'unica cosa certa è che per adesso non si va alle elezioni. Silvio Berlusconi ieri mattina, nella propria villa sul Lago Maggiore, ha scoperto un Umberto Bossi da questo punto di vista molto più malleabile del superministro Giulio Tremonti. Se il leader della Lega è apparso irremovibile nel proprio veto a una apertura strategica all'Udc di Pier Ferdinando Casini, ma ha pure accondisceso con un sorriso finale nei confronti della perorazione anti urne del Cav.

    L'unica cosa certa è che per adesso non si va alle elezioni. Silvio Berlusconi ieri mattina, nella propria villa sul Lago Maggiore, ha scoperto un Umberto Bossi da questo punto di vista molto più malleabile del superministro Giulio Tremonti. Se il leader della Lega è apparso irremovibile nel proprio veto a una apertura strategica all'Udc di Pier Ferdinando Casini, ma ha pure accondisceso con un sorriso finale nei confronti della perorazione anti urne del Cav., è stato Tremonti a recitare il ruolo del più strenuo tifoso dell'opzione “elezioni subito”. La forza argomentativa di Tremonti, ieri, ha confermato i sospetti di molti dirigenti del Pdl: “E' stato lui, dopo il 20 agosto, a far saltare la trattativa aperta con Casini riferendo tutto a Bossi e provocandone il veto preventivo”. D'altra parte, secondo fonti accreditate del Foglio, Fabrizio Cicchitto e Gianni Letta avevano raggiunto un livello avanzatissimo nei negoziati con Casini, il quale – al di là delle smentite – aveva sostanzialmente accettato l'ingresso nell'orbita del centrodestra: il governo e persino un futuro ruolo di spalla elettorale del Pdl indipendente come la Lega.

    Il bombardamento antidemocristiano di Bossi
    , domenica scorsa, provocato secondo gli antipatizzanti da un intervento di Tremonti, ha spazzato via le lettere di intenti che la diplomazia berlusconiana aveva scambiato con il leader dell'Udc. Adesso della strategia originaria rimangono solo i cinque punti del patto di legislatura da sottoporre alla fiducia e al voto – soprattutto – del gruppo finiano. La legislatura regge, ma il suo destino resta incerto. E' a Gianfranco Fini e alle meccaniche interne al suo gruppo che si rivolgono le attenzioni del Pdl. E' certo che il 16 settembre la prevista riunione dei probiviri che dovrebbe giudicare i reprobi finiani ed espellerli non avrà luogo, sarà rimandata o si limiterà a una censura senza conseguenze al solo Italo Bocchino.
    Umberto Bossi non insisterà più per andare al voto ma non intende ritirare il proprio veto nei confronti di un riavvicinamento di Pier Ferdinando Casini al centrodestra.

    Il leader della Lega, dopo aver ascoltato le parole di Berlusconi, ha colpito l'interlocutore per la propria ragionevolezza: “Siamo d'accordo allora, vedi se ti riesce di recuperare deputati al Pdl. Ma se non ce la fai, o se rischi di finire prigioniero di Fini e Casini, andiamo al voto e vinciamo”. Chiusa da Bossi la porta al ritorno di Casini, parte dei piani dell'entourage del premier sono saltati e diventa adesso decisivo il comportamento di Gianfranco Fini. Anche per questo l'idea prevalente è di non proseguire con la strategia del “finicidio”: non ci saranno espulsioni ma ancora per molte settimane le emozioni prevalenti saranno l'incertezza e il sospetto. Berlusconi ascolterà attentamente il discorso che il presidente della Camera terrà il 5 a Mirabello. Nel gruppo finiano si consuma da giorni un profondo conflitto tra coloro i quali, come Italo Bocchino, vorrebbero subito fondare un nuovo partito e quanti, invece, come Pasquale Viespoli e Roberto Menia, ritengono che questa scelta adesso sarebbe soltanto una provocazione nei confronti del Cav. Ma paradossalmente il niet di Bossi a Casini restituisce improvvisamente forza all'ala dei mediatori finiani, l'associazione Spazio Aperto, con la sponda di Andrea Augello, finiano rimasto nel Pdl, potrebbe tentare una sortita diplomatica a settembre: votare la fiducia, offrire garanzie sul processo breve, sfatare il sospetto esiziale che Fini intenda logorare Berlusconi. Il 2 settembre Fini, prima di Mirabello, riunirà tutti i suoi uomini per fare il punto politico.

    Si tratta di una operazione complicatissima. Il premier, lo ha detto anche parlando con Bossi, non ritiene sufficiente garanzia il voto di fiducia sui cinque punti. La vera prova sulla tenuta del governo è difatti quella del cosiddetto processo breve. Il provvedimento giace in commissione ma è intenzione del Pdl di spolverarlo e spedirlo rapidamente in calendario. “Se Fini immagina di poter giocare su questo punto sbaglia. Sarà costretto a mostrare il proprio volto”. Berlusconi non si fida, un sentimento ricambiato. Qualcuno dal Pdl azzarda: “Forse se Fini facesse il partito poi si potrebbe anche dialogare”. Forse.

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.