Un Marchionne di fabbrica/ 3

Maurizio Stefanini

“La Fiat a Melfi ha torto. Ma il problema è quello più generale delle relazioni industriali che non funzionano. E non funzionano per colpa di un'unità sindacale che non c'è più, tra chi vuole firmare tutto e chi non vuole firmare più niente”. Anche con l'intervistatore del Foglio, Antonio Pennacchi tiene a ricordare la sua grande stima per Diego Armando Maradona e Pasquale Squitieri, “perché sono gli unici che quando i giornalisti si affacciavano al cancello di casa, loro pum, e sparavano addosso!”.

    “La Fiat a Melfi ha torto. Ma il problema è quello più generale delle relazioni industriali che non funzionano. E non funzionano per colpa di un'unità sindacale che non c'è più, tra chi vuole firmare tutto e chi non vuole firmare più niente”. Anche con l'intervistatore del Foglio, Antonio Pennacchi tiene a ricordare la sua grande stima per Diego Armando Maradona e Pasquale Squitieri, “perché sono gli unici che quando i giornalisti si affacciavano al cancello di casa, loro pum, e sparavano addosso!”. Ma lui l'operaio lo ha fatto per oltre trent'anni; è stato anche sindacalista; si è laureato sfruttando una pausa di cassa integrazione e il premio Strega vinto per “Canale Mussolini” l'ha dedicato ai suoi vecchi colleghi. 

    Val dunque la pena ascoltare la sua opinione sui tre “colleghi” espulsi, reintegrati e rimasti nel limbo: anche al costo di sfidare le sue fucilate. “C'è la contraddizione tra il lavoro e il capitale, tra l'operaio e il padrone”, parte con aggressivo tono didattico, dopo aver ricordato di essere ancora “marxista” (“anche il fascismo, con tutti i suoi errori cui non faccio alcuno sconto, è stato una deviazione del marxismo”). “Ma capitale e lavoro sono uniti da un interesse comune: quello della produzione. E dunque il nemico vero è chi la produzione non la vuole più, perché pensa che si deve fare l'economia verde, e andare solo in bicicletta”. Voce che si alza di tono e si trasforma in esplosione. “E che, le biciclette non si fanno con l'acciaio? E l'acciaio con che lo fai, se non con l'altoforno? E l'altoforno con che lo alimenti: con un pannello solare, o con una bella centrale nucleare?”. In molti sospettano che la vicenda di Melfi abbia una valenza quasi antropologica: la fine del modello di operaio, Mimì Metallurgico e Cipputi. Arriva un'altra esplosione: “Mimì Metallurgico e Cipputi non sono esistiti mai. Al loro posto sono esistiti invece gli operai veri.

    Quelli che soffrivano, lavoravano, lottavano, producevano, ma si identificavano con le ragioni della produzione. Una volta un operaio della Goodyear nella macchina sua non si sarebbe sognato mai di mettere una gomma Michelin o Pirelli. Se lavorava alla Goodyear, metteva Goodyear. Quando io stavo in fabbrica facevo le lotte, i casini, i picchetti, i cortei e menavo pure ai capireparto. Il mio nemico era il padrone. Ma la fabbrica io la consideravo mia. L'orgoglio del lavoro!”.
    Su Pomigliano, Pennacchi ha spiegato che l'Alfa Romeo non arrivò con la Cassa del mezzogiorno, ma ce l'aveva portata già il fascismo, per fabbricare i motori d'aereo. E che l'industrializzazione non è stata danneggiata dalla scelta di puntare sullo sviluppo agricolo attraverso le bonifiche: le ricerche, sue e non solo sue, dimostrano che in realtà creazione di una piccola proprietà contadina e crescita della popolazione operaia andarono assieme. Tanto che nel 1938 in Italia si registra il primo storico sorpasso degli operai sui contadini.  Premessa che va ricordata, prima di fare l'ultima domanda: cosa pensa, lo scrittore operaio, di coloro secondo i quali a Melfi, Termini Imerese o Pomigliano uno stabilimento automobilistico, nelle attuali condizioni del mercato globalizzato, non si giustifica? E che la vocazione di quelle zone dovrebbe essere un'altra? Ultimo ruggito “Ma perché mo' gli vuole far chiudere la fabbrica pure a Melfi? E 'ndo cazzo vanno a lavorare? Li volete far emigrare? Non mi state a rompere i coglioni! Ci vogliono le fabbriche, ci vogliono!”.