Lo spritz, ovvero l'ultima frontiera per combattere l'oscena generazione mojito
A che cosa serve lo spritz? Innanzitutto a scrivere articoli sullo spritz che vanno sempre via come il pane e come appunto lo spritz (vorrei scrivere altro, vorrei scrivere pagine sulla moda femminile ma la moda non interessa più nemmeno alle femmine, comprano tutte da H&M; vorrei scrivere pagine sull'arredamento ma l'arredamento non interessa più nemmeno alle nuove coppie, vanno tutte all'Ikea).
A che cosa serve lo spritz? Innanzitutto a scrivere articoli sullo spritz che vanno sempre via come il pane e come appunto lo spritz (vorrei scrivere altro, vorrei scrivere pagine sulla moda femminile ma la moda non interessa più nemmeno alle femmine, comprano tutte da H&M; vorrei scrivere pagine sull'arredamento ma l'arredamento non interessa più nemmeno alle nuove coppie, vanno tutte all'Ikea). Poi, tralasciando per una riga il proprio ombelico, lo spritz serve a sostenere le nostre esportazioni: è fresca la notizia che i germanofoni (tedeschi, austriaci, svizzeri) abbandonano la loro birra per tuffarsi nel veneto intruglio. Lo spritz, parlo ai residui maschi interessati all'argomento, serve a far bere le donne. Ci sono donne che senza spritz sarebbero astemie e poi con che scusa, a fine serata, si lascerebbero stoccazzare? Perché lo spritz non sembra alcol e ci si ubriaca senza saperlo. La versione con l'Aperol (prevalente a Padova dove l'aperitivo arancione è stato inventato nel 1919) è particolarmente dolciastra e subdola. La versione col Campari (maggioritaria a Brescia dove però lo spritz si chiama pirlo) è un tantinello più virile, quella col Select (specialità di Venezia) non l'ho studiata abbastanza per capirne i rimandi. Lo spritz serve a vendere prosecco che ne rappresenta la base nella misura dei sei o sette decimi ed è grazie a questa ricetta dilagante se i vignaioli della provincia di Treviso sono gli unici vignaioli felici d'Italia.
La gente non lo sa (la gente non sa mai niente) ma la vendemmia appena iniziata non è per nulla buona, buonissima, eccezionale come strombazzano televisioni e giornali che copiaincollano i comunicati stampa delle associazioni. Al contrario la vendemmia 2010 si preannuncia come una tragedia epocale. Quest'anno, per la prima volta a memoria d'uomo (o almeno a memoria mia), dal Piemonte alla Sicilia molte vigne non verranno vendemmiate. Costa più la raccolta che il vino che se ne potrebbe ricavare. I prezzi dell'uva sono crollati perché le cantine sono piene, i consumi sono calati, il Nero d'Avola ha stufato, l'etilometro ha inibito. Ecco, lo spritz serve a bere senza rimetterci la patente perché si tratta di aperitivo urbano, da piazze centrali, raggiungibili a piedi o in bicicletta. Somiglia a un baluardo dell'occidente: “Il vino è uno dei maggiori segni di civiltà del mondo”, diceva Hemingway che se ne intendeva. Lo spritz serve a difendere, certo in modo inconsapevole, disimpegnato, il nostro stile di vita aggredito da un neoproibizionismo neopuritano che sa di postumano. Mantiene aperto il canale del consumo alcolico di massa, è l'iniziazione al frutto della vite per chissà quanti ragazzi che altrimenti non si schioderebbero dal mojito, e chi si lamenta per i danni a salute e quiete pubblica forse sogna un mondo in cui l'incontro umano sia facilitato dalla chimica, dalle pillole. Oppure ha nostalgia dell'eroina. “Ai miei tempi lo spritz era diverso! Costava meno! Lo bevevano i vecchi nelle osterie, non i fighetti nelle vinerie!” Giusto, erano appunto i tempi in cui, mi racconta il grande scrittore veneto Romolo Bugaro, “ogni lunedì mattina, ti parlo della fine degli anni Settanta, c'era un carro che faceva il giro di Padova, per raccogliere i cadaveri”.
A questo punto mi si potrebbe chiedere: a parte questi bei discorsi, a te, personalmente, organoletticamente, lo spritz piace? E' una domanda un po' pericolosa perché se mi disgusta sono uno snob polveroso, se mi gusta sono un giovanilista ridicolo. Rispondo come quando mi chiedono (e a fine agosto me lo chiedono spesso) se mi piace il Meeting di Rimini: “No, non mi piace, però mi interessa”.
Il Foglio sportivo - in corpore sano