Mourinho non può smentire che il suo incubo madrileno si chiama don Fabio
Forse non è vero, forse sì. Forse non l'ha detto. Oppure l'ha detto ma poi deve essere sembrato anche a un perfido come lui così gratuito, così a freddo, così cattivo da sguinzagliare l'addetto stampa per minacciare querele e per smentire, berlusconianamente, a trecentosessanta gradi e al cento per cento. Fatto sta che questa storia dell'intervista pubblicata tre giorni fa dal Daily Mirror in cui “Mou” fa a pezzi Fabio Capello, suona maledettamente vera, mourinhianamente vera.
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Forse non è vero, forse sì. Forse non l'ha detto. Oppure l'ha detto ma poi deve essere sembrato anche a un perfido come lui così gratuito, così a freddo, così cattivo da sguinzagliare l'addetto stampa per minacciare querele e per smentire, berlusconianamente, a trecentosessanta gradi e al cento per cento. Fatto sta che questa storia dell'intervista pubblicata tre giorni fa dal Daily Mirror in cui “Mou” fa a pezzi Fabio Capello, dicendo che se l'Inghilterra è nel caos è solo per colpa sua, perché sarebbe un allenatore che con i giocatori sa solo urlare, spaventarli invece di farli sentire speciali, basta chiedere in giro a Madrid, e che quindi non vincerà mai nulla finché lui resterà alla guida, ecco queste parole che tanto sanno di patacca da tabloid inglese suonano chissà perché maledettamente vere, mourinhianamente vere. Nel senso che ne riflettono l'intima natura, l'idea ossessiva che ha della vittoria e dei mezzi da usare per raggiungerla.
Mourinho è un mentalist colto, quindi una sorta di terrorista mentale. Sa difendere l'indifendibile, per principio non vede la trave conficcata nell'occhio della sua squadra ma la pagliuzza in quello dell'avversario, ha un talento ineguagliato per distorcere la realtà e se necessario negarla pur di raggiungere i suoi obiettivi e di rendere più efficace la sua strategia. Non si volta mai a guardare indietro, fa programmi di un anno per volta, massimo due. Qual è il suo imperativo presente? Vincere la Liga nell'anno solare 2010-2011 ed essere il primo allenatore della storia che vince il campionato nei tre paesi che per cultura e tradizione sono le maggiori potenze calcistiche in Europa, l'Inghilterra, l'Italia e la Spagna. Certo sa che sarebbe anche possibile vincere subito la Champions League ma questa è una competizione che dipende troppo dalla sorte, dallo stato di forma in diversi periodi della stagione, da singoli episodi: alla guida del Chelsea ha vinto tre scudetti ma in Champions è arrivato solo in semifinale. Da buon lusitano cartesiano si è certamente dato un ragionevole orizzonte per riportare a Madrid non la coppa ma il primo posto nella Liga, e quello lo vuole subito eccome.
Senonché si frappongono due ostacoli. Uno è materiale. E tosto assai. Porta i colori blau-grana, si chiama Barcellona, è il club più forte degli ultimi cinque anni nonché anima e spina dorsale della Spagna campione del mondo. L'altro è immateriale. E' pallido come un fantasma, abita nella sua psiche e si chiama per l'appunto Fabio Capello. Anche lui arrivò da straniero alla guida dei blancos, fece centro al primo colpo, se ne andò, tornò anni dopo, prese in mano il Real che arrancava mediocremente dietro un Barcellona dalla marcia che sembrava inarrestabile, si lanciò all'inseguimento e vinse sul filo di lana l'edizione 2006-2007, la più avvincente degli ultimi anni.
Quando stai su un carro che ha perso terreno e devi recuperare, i cavalli si frustano, non c'è tempo per carezze e carote. E poi è fatto così Capello, friulano e duro da cuocere. Spigoloso, sicuro di sé, non ama i giocatori perché non ha bisogno di sentirsi riamato. Non cerca affetto, non pretende riconoscenza né gratitudine, vuole solo essere obbedito, se ne frega se sparlano alle sue spalle. Ha una sua idea del calcio, un suo spartito e non si sente affatto legato a coloro che devono eseguirlo, siano grandi stelle o cocchi della folla o del presidente. Allena proprio come giocava. Con la mascella volitiva e l'arroganza del giocatore che sa di aver ricevuto dagli dei un dono speciale, essere uno dei pochi a correre e a giocare la palla tenendo la testa alta proprio nel centro del campo, dove i piedi buoni non bastano, bisogna anche vedere in anticipo e pensare più velocemente di quanto possa correre la palla. L'esperienza di calciatore ha fatto di lui un allenatore che interpreta, “legge”, le partite in corso come pochi.
Nella corsa contro Guardiola e il Barcellona, Mourinho sarà in buona compagnia, a cominciare dai tanti talenti in maglia bianca. Ma contro Capello sarà solo. Solo di giorno e di notte. Una sfida terribile. Se vince, si troverà sempre qualcuno per dire che in fondo ha solo fatto quello che qualcun altro già fece prima di lui e per ben due volte. Se perde, sarà il “secondo”. Definitivamente, per sempre. Da quello che si sa del signor Mou, è certo che questa prospettiva non gli metta allegria. Ecco perché non è affatto inverosimile che abbia cominciato a lavorare ai fianchi la figura di un predecessore lontano e scomodo, a riscriverne la storia, a scalfirne il prestigio. Se non si sa convivere serenamente con un fantasma, non resta davvero che fargli la guerra e cercare di scacciarlo.
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