Provate a farvi spiegare il Nuovo Ulivo, almeno Walter un'idea ce l'ha
E' tornato Walter. E i suoi si incazzano o sghignazzano. Persino l'incipit della paginata sul Corriere della Sera li ha messi per storto, contestano quel “Caro direttore, scrivo al mio paese”, bolso, populista e poco di sinistra e non capisci se ce l'hanno con la frase in sé o con l'autore in quanto tale, visto che simili espressioni fanno ormai parte della politica moderna.
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E' tornato Walter. E i suoi si incazzano o sghignazzano. Persino l'incipit della paginata sul Corriere della Sera li ha messi per storto, contestano quel “Caro direttore, scrivo al mio paese”, bolso, populista e poco di sinistra e non capisci se ce l'hanno con la frase in sé o con l'autore in quanto tale, visto che simili espressioni fanno ormai parte della politica moderna, basti ricordare “questo è il paese che amo” che segnò la scesa in campo di Berlusconi. Qualche formula è stata gentile, dopo il se po' fa il se po' rifa'. Altre reazioni becere e stantie. C'è chi non gli perdona di avere agitato la teoria del partito liquido o semiliquido e di averlo così liquidato come se i suoi successori, eminenti teorici del partito solido o semi solido, fossero invece riusciti a solidificarlo. C'è chi serba sottile rancore. Nichi Vendola ad esempio ricorda il peccato originale del veltronismo, il partito a vocazione maggioritaria, “la presunzione illuministica”, il mito dell'autosufficienza in virtù del quale avrebbe seppellito una breve esperienza di coalizione del centrosinistra. Come se la breve e invero poco felice esperienza del centrosinistra non fosse implosa di suo, per manifesta imperizia delle membra. Come se la ragione sociale di qualsiasi partito non fosse rafforzarsi, estendere la propria influenza anche a scapito di vicini e concorrenti più piccoli. La socialdemocrazia o più semplicemente il riformismo non si degnano di passare attraverso partiti che coltivano ambizioni ridotte e vivono rassegnati a essere istanza seconda, spalla o peggio ancora ruota di scorta.
Viva dunque lo scatto del compagno Walter. E quel magico 33,3 per cento raccolto nel 2008 sul suo nome: quattordici milioni di voti, non sufficienti a sconfiggere Berlusconi, ma abbastanza per rappresentare il punto più alto mai raggiunto in Italia da una forza genuinamente e integralmente riformatrice. E non è stato forse un merito storico di Veltroni aver travasato in un bacino immediatamente utilizzabile l'intero serbatoio elettorale del vecchio Pci? Certo da quel 33 e passa bisognava ripartire per un ressemblement più ampio, ma già in sé non era poco, anzi molte forze paludate della sinistra europea farebbero carte false per fare altrettanto. Non c'è dubbio che la sua sia stata un'operazione violenta, di vertice, una semplificazione forzosa del sistema dei partiti resa possibile anche dagli errori di Fausto Bertinotti e del gruppo dirigente di Rifondazione: in un paese di facce incartapecorite che vengono sempre azzoppate ma mai definitivamente eliminate, meno male che qualcuno almeno una volta abbia provato a fare sul serio. Ci andò di mezzo Bertinotti che non era certo il peggiore, ma diciamolo meglio uno che nessuno. Anni fa Massimo D'Alema definì Veltroni e Prodi una coppia di flaccidi imbroglioni: non saprei dire in generale, ma almeno in quell'autunno 2007 e primavera 2008, dal Lingotto al voto, Veltroni non imbrogliò affatto.
Eppure lo hanno fatto fuori e lui si è lasciato fare, senza combattere, un po' per orgoglio, un po' per quieto vivere, variante più accettabile del grave peccato di viltà. Così presero la loro rivincita gli orfani della rappresentanza e i tanti omini un po' verdognoli che siccome di loro non sanno persuadere gli elettori hanno ancora bisogno di un partito ottocentesco e dei suoi riti per tirare a campare. A ben guardare è una questione che travalica il centrosinistra, è anche una delle cause del conflitto che squassa da mesi la maggioranza di centrodestra. Rinvia dunque alla forma che deve assumere la politica in generale in questo paese, alla capacità o meno di allinearsi con le democrazie più avanzate, in definitiva alla possibilità di modernizzare lo stato . Ed è o no merito di Veltroni aver posto il problema e cercato una soluzione prima di altri, quanto meno nel proprio campo?
Prendersela ancora con il segretario che fu, persino per via di quella sciagurata alleanza con l'Idv, è comunque da insani. Oggi conta capire quale sia la buona strada e come imboccarla. Se si debba difendere accanitamente il bipolarismo e la logica dell'alternanza, togliendo le liste elettorali dalle mani degli apparati e restituendo agli elettori la possibilità di decidere da chi essere rappresentato e governato. Oppure se sia bene tornare a una Repubblica integralmente parlamentare sia pure bonificata.
Chi vagheggia questa ipotesi la chiama modello tedesco per darle lettere di nobiltà. Sono tanti e hanno un punto di riferimento in Bersani. E nella sua proposta di Nuovo Ulivo, di Nuova Alleanza per la democrazia “in cui i partiti del centrosinistra possano esprimere un progetto univoco di alternativa per l'Italia e per l'Europa e mettersi al servizio di un più vasto movimento di riscossa economica e civile”. Accanto a lui, il suo grande elettore D'Alema. E fuori dal Pd, ovviamente Casini, quasi certamente Di Pietro, forse Rutelli e forse il presunto presidenzialista Fini per un buon tratto di strada, se non altro per senso dell'opportunità. Certamente brave persone. Ma provate un po' a farvi spiegare cosa sia l'essenza del Nuovo Ulivo senza collassare.
Ci sono poi migliaia, magari milioni, di cittadini ed elettori che non ne possono più di dibattiti surreali e di arzigogoli e si accontenterebbero volentieri di un partito di buone dimensioni, con qualche salda idea riformista (democratico nella nostra cultura è un pleonasmo e non un clivage) che sia in grado di imporre a eventuali alleati: ecco, questa frazione di elettorato la sua stella polare non ce l'ha. Se ci fosse, lo si saprebbe.
Ora c'è Veltroni che si ripropone sia pure in modo obliquo, visto che non ci si rivolge a un paese via il suo principale quotidiano per essere dimenticati o restarsene defilati. Ed è un buon riproporsi. Purché non si lasci smontare di nuovo da coloro che un tempo lo sollecitarono e poi lo pugnalarono, purché non abbia riguardi e non faccia prigionieri. Non sarebbe male se tra afflati per l'Africa, bagni letterari, analisi solitaria del risentimento, coltivazione dell'anima vindice, avesse messo su un po' di pelo e fosse determinato a scompaginare il gioco, a presentarsi alle primarie e a tirare poi dritto per la sua strada, accada quello che accada. Sa benissimo che all'orizzonte non ci sono candidati premier convincenti: D'Alema è improponibile, Prodi è fuori gioco, Vendola è un delizioso momento di pizzica con salto, Roberto Saviano e Ezio Mauro non si sa nemmeno a chi possano essere venuti in mente. Sui cosiddetti giovani è meglio stendere un velo. Sulle donne in quanto tali, giovani o no, anche. Quanto ai Bersani e ai Letta sarebbe un grave errore scambiare un eccellente ministro per un leader di massa e possibile candidato alla guida del paese. Se dopo lustri di berlusconismo il centrosinistra non ha ancora capito che il sostegno di una coalizione di partiti è in sé cosa da poco e che solo la capacità di trarre forza e legittimità da un rapporto personale e diretto con gli elettori, cioè da un unicum, è in grado di costruire vittorie che durano, allora vuol dire che si condanna da solo. Questo Veltroni lo sa, lo ha capito da tempo. A tutto oggi è il solo che abbia numeri e requisiti per mettere la volontà in atto. Ma se dovesse dare forfait, il paese si terrà Berlusconi, se non fino al suo centoventesimo anno di vita, almeno per un altro bel pezzo.
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