Un Cav. di pugnali e chitarra
Prologo. Ci vorrebbe Balzac – è il ritornello – per narrare questi tragicomici anni; ma forse basta impegnarsi a fondo, senza accontentarsi delle apparenze. Gli avvenimenti paiono fatui; donar loro un'anima, seppur nera, fa la differenza. Tale è la missione dello scrittore, di chi sta in prima linea a ridosso del fuoco accecante del reale, il giornalista. Costui non ha tempo per rimuginare, gli tocca sparare a vista le sue cartucce, sennò la notizia lo buca e va altrove.
Prologo. Ci vorrebbe Balzac – è il ritornello – per narrare questi tragicomici anni; ma forse basta impegnarsi a fondo, senza accontentarsi delle apparenze. Gli avvenimenti paiono fatui; donar loro un'anima, seppur nera, fa la differenza. Tale è la missione dello scrittore, di chi sta in prima linea a ridosso del fuoco accecante del reale, il giornalista. Costui non ha tempo per rimuginare, gli tocca sparare a vista le sue cartucce, sennò la notizia lo buca e va altrove. Il reale sta nascosto nell'ombra, travestito da innocuo passante, ma ha un coltello nella manica.
Fatti e non parole, è il motto di tanti, e su questa scia è nato anche un brillante quotidiano. Ma senza le parole che lo traducano in una logica e lo comunichino con emozione il fatto non esiste, se non come allucinazione, déjà vu, pregiudizio, tanto che questo termine è usato per designare il drogato dallo sguardo esulcerato o spento. Silvio Berlusconi è fatto proprio come lo si descrive? O vogliamo invece tentare qualcosa di più ardito, cercando di sorprendere e dipingere con inediti colori quel volto che mai si è visto ma intravisto sì? Perché, insomma, è pur vero che tre più tre fa sei, ma ripeterlo mille volte al giorno, trecentomila volte l'anno, non fa più sei ma manicomio!
Nessuna ricomposizione dopo l'arena estiva; solo cenette e pacche sulle spalle per affilare meglio le armi in vista di uno scontro finale che si presenta assai cruento. Star dell'anno: il tradimento. Tutti tradiscono tutti, in una girandola vertiginosa: pare che solo il tradimento sia fonte di euforia e comporti un profitto sicuro. Allo stremo, avidi e disperati, ci si tradisce pur di esibirsi. Quanto più attraente, tuttavia, abbandonare i malinconici reality della cronaca politica per approdare al sogno! Lì c'è quel che da sempre ci incuriosisce, lì incontriamo il Cavaliere nell'ultima battaglia, quando niente si frappone più tra l'uomo e il suo destino.
Palazzo Grazioli, notte. Il Cavaliere siede a capotavola. Alla sua destra il ministro della Giustizia, alla sua sinistra il ministro della Pubblica istruzione. Lungo il tavolo i collaboratori più stretti.
– Dov'è Tremonti?– s'informa il Cavaliere. Silenzio imbarazzato.
– Non abbiate timore, amici, si uccide sempre chi si ama – sospira il Cavaliere. – Oscar Wilde, vero, ministro Gelmini?
– Baudelaire, Presidente.
– No mia cara, è Wilde; se fosse Baudelaire direi Baudelaire, non le pare? Signori, che vi sembra della situazione, andrò all'inferno?
Ministro Bondi: – Presidente, io vorrei venire con lei in paradiso.
– Il paradiso già l'ho incontrato, una chiavica. Ho bisogno dell'inferno, chi vuol venire?
Tutti restano impietriti. Il ministro Prestigiacomo si alza in piedi, pallida. – Sono parole oscure, Presidente. Il momento richiede più serenità.
– Il Presidente è in vena di agudezas, – sorride il sottosegretario Gianni Letta. – Ora non ne capiamo tutta la profondità, ma prima o poi capiremo. Quel che viene da lui, anche se ci turba, è sempre buona cosa e l'accettiamo con umiltà.
Bussano alla porta. Trafelato entra il portavoce Capezzone. E' fuori di sé. – Ha sbattuto la portiera e mi ha preso dentro due dita! –. Mostra le dita sanguinanti. – O io o Casini, urla Bossi, ma non so nemmeno a chi davvero lo dica, lo dice a tutti, alla luna, a se stesso e fa una faccia terribile. Ma non ce l'ha con lei, Presidente, a lei vuole bene, per lei ha sempre parole di stima.
– La verità, Capezzone!
– La verità è che la odia, dice che è un ladro, un mafioso, una canaglia. Questa è la verità!
– La tua verità, portavoce. Uno che dice quelle cose mi ama. Piuttosto, avete letto Famiglia Cristiana?
– Calunnie, infami calunnie – sibila Cicchitto.
– Non calunniarmi tu, quella è pura verità. Che Cavaliere sarei se non imponessi a tutti la mia volontà?
Brunetta: – Recuperiamo i finiani, signor Presidente, è il momento giusto. Si alzano alla mattina e si chiedono: chi sono io? Per scoprirlo si sono messi d'accordo, si scambiano indizi l'un l'altro e così riescono ad andare avanti fino a sera.
– Io mi sono bevuto il mondo, se lo ricordino! Non sentite questo rumore? Sono loro, hanno occupato la soffitta.
– Non sento nessun rumore, Presidente.
– Le mie orecchie sono quelle di un lupo, io do voce a quel che ancora non fa baccano ma lo farà, io conosco il rumore che a loro insaputa è già nella testa degli uomini, nel loro cuore. A Umberto di Legnano il nord, a Pierferdinando di Borbone il sud, così ho decretato, alla mia morte. Si tratta di arrivarci alla morte, non è facile: sono condannato all'immortalità. Capezzone, come si chiama la protagonista di “Umiliati e offesi”?
– Sonia, se ben ricordo.
– Natalia, bestia!
– Sono mortificato, Presidente.
Tutti ridacchiano. Il Cavaliere li osserva pensieroso.
– E' triste vedere tutti morire, uno dopo l'altro, e incontrare sempre nuovi volti che poi diventano vecchi e spariscono nel nulla. Perché questa condanna? Me lo chiedo spesso, ma non so darmi una risposta. Allora mi dico: non è una condanna, è un favore degli dei.
Il ministro Meloni guarda il Cavaliere negli occhi. – Io non credo che lei sia immortale, Presidente.
– Tu sei morta, Meloni!
– Bondi: – Anch'io credo che lei morirà, Presidente. Tra cent'anni.
– Io credo che tu sia viva, Giorgia Meloni, credo che tu più di chiunque mi assomigli. Gettate Bondi dalle scale. – Gli tira bonariamente un orecchio. Entra un ufficiale della gendarmeria.
– Presidente, il colonnello Gheddafi chiama ogni cinque minuti. Dice che le truppe cammellate sono pronte a volare.
– Che cara persona. E' un mostro, ma io l'amo. Amo gli occhi che vedono le stelle nel deserto di Libia. Ci siamo distesi sulla sabbia, in quella terra corrosa dal tempo. Le stelle correvano verso di noi festanti, ci salutavano ed entravano nei nostri occhi. Solo lì capitano queste cose, solo con quel mostro.
– Oggi sulla stampa altri attacchi alla vostra bella amicizia, Presidente. I cattolici dicono che siete dannato.
– Ministro Fazio, la formula dell'acido solforico.
– Accaquattroduesse. O accaesseduequattro?
Accaduessequattro. O quattroessedueacca?
– Presidente, i rivoltosi stanno marciando verso il palazzo. Ci sono tutti ma proprio tutti, cantano, gridano, agitano stendardi. Sembra il bosco di Birnam che si è messo in cammino. Dicono che la sua ora è giunta.
– Gasparri, La Russa, miei fedeli colonnelli, andate loro incontro. Dov'è Apicella?
– Abbiamo mandato delle auto a prelevarlo, ma le strade sono invase dai ribelli. Se lo vedono chissà cosa gli fanno.
Il Cavaliere è colto da un fou rire irrefrenabile, che dapprima dà sollievo a tutti, poi un imbarazzo crescente. Il Cavaliere non smette di ridere.
– Presidente, Presidente, una cosa terribile!
Il Cavaliere, torvo. – La mia immortalità, di terribile c'è solo lei.
Entra un generale. – Presidente, Gasparri e La Russa hanno tradito! Appena hanno visto il Duce in armi, gli hanno offerto le loro e sono passati dalla sua parte. Vedesse che scena disgustosa, piangevano di gioia. Per quella giraffa, poi!
– Cicchitto, va tu con la guardia. Tu non tradirai, la tua vecchia casa non c'è più.
– Maestà, è arrivato il barone von Troten con un messaggio del padre.
– Da' qua! – Il Cavaliere legge il biglietto, poi annuncia: – Bossi è con noi fino alla fine.
– Una magnifica notizia, Presidente!
– Sì, ora so che davvero mi sta tradendo. Traditemi anche voi e proseguite la mia opera. Fatemi morire affinché possa risorgere.
– Sono fardelli troppo grevi per noi, Presidente, già non capiamo bene il senso di queste sue parole.
– Meglio così, sarete più liberi, mi amerete di più.
– Il sindaco di Milano! – annuncia un valletto. Stravolta, la veste lacera, entra Letizia Moratti. – Milano è in mano ai leghisti. C'è la caccia all'uomo, noi siamo trattati peggio dei comunisti. Il nord è terra nemica!
– Il nord ha incontrato il suo destino – sospira il Cavaliere. – Venga Letizia, si segga e si calmi. Portatele da bere.
Letizia Moratti si accovaccia in un angolo del salone. Le sue ginocchia non sfuggono agli occhi di Maurizio Lupi.
– Presidente, la guardia è stata sgominata, l'onorevole Cicchitto è prigioniero, il nemico è alle porte. Urla morte al tiranno, morte a Macbeth!
– Io non ho tradito! I miei elettori hanno sempre saputo che non mantengo mai quel che prometto, per questo mi vogliono bene. Se ho fatto del male non me ne sono accorto, le colpe non tingono il mio corpo divino, il loro ricordo non mi affatica. Ma chi è quello là?
– Non vedo nessuno, Presidente.
Sul fondo della sala, spurgandosi dall'acqua dello Stige, prende corpo l'ombra di Bettino Craxi. Il Cavaliere si alza dalla sedia e va verso di lui.
– Caro amico, il migliore, l'unico, che ci fai qui? Come hai potuto lasciare quei luoghi senza luce?
– Come hai potuto tu lasciarmi morire in terra straniera! Come hai potuto?
– Sai bene che ho tentato…
– Tu non conosci questa parola, tu quando fai vinci.
– Non ero ancora quello di ora.
– Tu sei nato così e così morirai.
– Questo sei venuto a dirmi? Che la mia ora è giunta? Sapessi che dono mi fai! – Bettino e Silvio si abbracciano.
L'ombra si dilegua e il Cavaliere torna sui suoi passi. – Arrivederci Bettino, la tua generosità non ha confini. Sono felice, per la prima volta nella mia vita posso morire. E voi, signori, siete pronti?
– Siamo pronti!
– Presidente, Gasparri e La Russa non hanno tradito. Sono morti da eroi e lo stesso Fini ha pianto sui loro corpi.
– Beati gli eroi. Gloria a chi piange.
– Tradimento! Maroni ha tolto le truppe da Roma e le ha posizionate sul Po. Tremonti è con lui. Il sud è perduto, anche noi.
Il Cavaliere invita il ministro Prestigiacomo a ballare. Accennano alcuni passi di samba.
– Ah come precipitano gli eventi, che belle sensazioni di pioggia pesante dopo tanta afa. Mi viene voglia di uscire nudo nella piazza, ma i giornalisti malignerebbero; quando invece è solo il desiderio di prendere su di me tutta questa tempesta! Ma dov'è Giuliano Ferrara?
– A New York, al Metropolitan. Debutta stasera nel “Don Giovanni”, fa la parte di Don Ottavio. A quest'ora sta cantando “Il mio tesoro intanto”.
– Beato lui, gli telegrafi i miei complimenti. Sono contento che abbia incontrato la sua gioia. E la mia? Qual è la mia verità? Essere è essere se stessi, signori, fino in fondo, fino a conficcarsi nel proprio cranio, fino a far scomparire ogni ombra attorno a sé. Questo, amici, è quanto ho pensato fino ad ora, ho ambito, ho perseguito con tutte le mie forze. Ora però è solo lei che bramo, l'ombra. Essere è non essere, o almeno essere poco, pochissimo, ogni tanto. Due o tre volte l'anno alzarmi dalla tomba e bere un martini al bar più vicino.
Il ministro Carfagna scoppia a piangere. Entra una guardia del corpo, trafelata.
– Maestà, Grillo e i suoi corrono davanti al corteo. Urlano che la metteranno in una gabbia appesa al suo palazzo. Il giullare diventerà imperatore, l'imperatore giullare.
– Sia fatta la volontà del Signore! – entra solenne il cardinal Ruini. Tutti i presenti s'inginocchiano facendosi il segno della croce.
– Benedico vos in nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.
– Amen! – gli fanno eco tutti. Mara Carfagna continua a piangere, il cardinale la consola.
– Eccellenza, il presidente Napolitano le offre ospitalità al Quirinale.
– Lo ringrazi per me, Eminenza, è un uomo probo e gentile.
– Il Cavaliere si rialza e commosso guarda i suoi fedeli.
– Vi lascio liberi signori, arruolatevi dove meglio credete. Non esitate, mi fa piacere sapervi sistemati, voi conoscete la mia filosofia.
Brunetta, irruente: – Forse lei non la nostra, Presidente. Noi restiamo.
Il cavaliere guarda rattristato il ministro Alfano. – Angelino, mi dispiace per te. Sei stato così prezioso, ho amato il tuo bel faccione entusiasta e deciso.
Ghedini: – Non si preoccupi per lui, Eccellenza, ci penso io. Lo prendo nel mio studio e ci trasferiamo in America. Ho i biglietti in tasca.
– Caro Bondi, mi piacerebbe vederti felice. Va' con Fassino.
– Io non potrò mai essere più felice senza di te. Oh pardon!
Il Cavaliere sorride intenerito. – Be' un finale così non me l'aspettavo. Ci vorrebbe Pavarotti, o almeno Ferrara, ma abbiamo solo Apicella. E' arrivato Apicella?
– Veramente non mi sono mai mosso, ero giù in cucina. Non mi sottovaluti, Presidente, quando è il momento so tirar fuori la voce.
– Canta nobile amico, e voi aprite le porte, non sia mai che qualcosa mi separi dal mio popolo. Suona Mariano, cantiamo.
– Certo mio Presidente, ma mi dica: siamo davvero fritti?
– Mariano, Mariano, uomo di poca fede…
– Mi perdoni sa, ma vedo che ci tradiscono tutti, che stanno venendo per menarci…
– E' il momento di tirar fuori l'arma finale.
– E che è ‘sta arma finale?
– Tu Mariano, tu sei l'arma finale.
– Grazie Imperatore, ma non capisco.
– Sei proprio tonto. Dove sta Zazà?
– Uh, Madonna mia…
– Come fa Zazà
– Senza Isaia?
– Pare, pare, Zazà, che t'ho perduta ahimè!
– Chi ha truvato a Zazà, ca mm'a purtasse a me.
– Jammola a truvà, su, facciamo presto…
– Jammola a incontrà, con la banda in testa…
Il Cavaliere si volta verso i ministri sbalorditi.
– Su, facciamo tutti un trenino, tutti a cantare!
– Uh Zazà! Uh Zazà! Uh, Zazà!
– Tuttu quante aimm'a strillà
– Zazà, Zazà, Isaia sta ccà!
– Forza amici, tutti dietro di me, tutti insieme,
Zazà, Zazà, za-za-za-za,
Capezzone: – Presidente, le truppe nemiche vacillano!
Ministro Alfano: – Fuggono direi, stanno confusi assai. I cammelli di Gheddafi fanno miracoli!
– Non diamogli tregua! Comm'aggi ‘a fá pe' te truvà?
– I', senza te, nun pozzo stá…
– Zazá, Zazá, za-za-za-za!
– Za-za-za-za-za-za-zá!
Il ministro Gelmini non sta in sé dalla gioia.
– Abbandonano striscioni e stendardi, sembra che abbiano visto il demonio!
– La vittoria è nostra! – grida il ministro Meloni in spalla al portavoce Bonaiuti. – Di Pietro è scivolato su una cacca!
– Viva il nostro Presidente, viva!
In piedi su un tavolino del ristorante il Buco di via Sant'Ignazio, il Cavaliere abbraccia con lo sguardo il suo popolo festante.
– Bisogna sempre avere fede, cari amici. La vittoria arride a chi ama la vita. La notte è terminata, ora tutti a fare una bella colazione, ce la siamo meritata. Un buon caffelatte caldo e tanti cornetti appena sfornati ci attendono. Il sole sta sorgendo e la temperatura è di 23 gradi centigradi. E' previsto bel tempo su tutta la penisola. Viva l'Italia!
– Viva l'Italia e viva il nostro amato Presidente. Viva!
– Era la festa di San Gennaro, / ll'anno appresso cante e suone… / bancarelle e prucessione… / chi se pò dimenticá!? / C'era la banda di Pignataro, / centinaia di bancarelle / di torrone e di nocelle / che facevano 'ncantá. / Come allora quel viavai, / ritornò per quella via… / Ritornò pure Isaia, / sempre in cerca di Zazá… / Dove sta Zazá? / Uh! Madonna mia… / Come fa Zazá, / senza Isaia?…
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