Ecco che cosa c'è di buono nell'idea di big society del ministro Sacconi

Sergio Soave

Maurizio Sacconi, intervistato da Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera, è riuscito a ricondurre le tematiche politiche di attualità nel quadro di una visione ampia dei mutamenti antropologici e sociali. La cifra del suo ragionamento è “l'antropologia positiva”, cioè una espressione moderna del primato della persona dal quale fa derivare l'esigenza di avere fiducia nelle attività umane, nella loro capacità di esprimersi in modo socialmente vantaggioso, nelle libere aggregazioni contrapposte alla regolazione dall'alto, allo stato invasivo che fa risalire al Leviatano.

    Maurizio Sacconi, intervistato da Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera, è riuscito a ricondurre le tematiche politiche di attualità nel quadro di una visione ampia dei mutamenti antropologici e sociali. La cifra del suo ragionamento è “l'antropologia positiva”, cioè una espressione moderna del primato della persona dal quale fa derivare l'esigenza di avere fiducia nelle attività umane, nella loro capacità di esprimersi in modo socialmente vantaggioso, nelle libere aggregazioni contrapposte alla regolazione dall'alto, allo stato invasivo che fa risalire al Leviatano. Il pregio dell'attuale ministro del Lavoro è sempre stato quello di guardare oltre le formule stereotipate, per cercare il senso più profondo dell'agire che anima i comportamenti reali. Pur conoscendoli bene, anche per la sua lunga dimestichezza con l'Ufficio internazionale del lavoro, non usa i dati statistici come randelli “oggettivi”, che sterilizzano i ragionamenti qualitativi, ma fa l'operazione intellettuale esattamente inversa.

    E' su questo che è nata la sua profonda sintonia con Marco Biagi, che ha prodotto la prima “rivoluzione nella tradizione”, quella che ha investito il sistema di governo del mercato del lavoro. Anche in quel caso si è trattato di abolire un monopolio statale, quello del collocamento, e di capovolgere il principio secondo il quale “l'intermediazione di mano d'opera” cadeva inesorabilmente sotto il sospetto di coprire attività volte al supersfruttamento. Dare fiducia alle persone, alle loro associazioni alle loro aziende, è stata la chiave di quella prima riforma, non a caso combattuta in modo radicale dal sindacalismo conservatore e, seppure in modo ovviamente del tutto distinto, anche con la violenza e la morte dall'estremismo terroristico.
    Sacconi vede questa stessa logica come filo conduttore delle riforme oggi in cantiere, la fiducia nella responsabilità degli amministratori locali nel federalismo fiscale, la fiducia dei soggetti sociali nella riforma del sistema contrattuale, la fiducia nelle attività di solidarietà sociale nella ristrutturazione, attraverso quelli che chiama i “buoni costi standard”, del sistema di protezione sociale, che deve essere adeguato alle trasformazioni economiche e demografiche. Anche il tema assai delicato della bioetica rientra in questo schema, nel quale l'antropologia positiva si esprime come fiducia nella vita.

    In questa riduzione del peso dello stato a vantaggio di quello della società (non del “mercato” ci tiene a sottolineare) Sacconi legge un segno dei tempi, una tendenza globale rafforzata dall'esigenza di contrastare la crisi finanziaria internazionale. Cita a questo proposito la Big society evocata dal nuovo governo inglese e la new governance americana, della quale ha inteso meglio di altri la direttrice effettiva, tanto che il recente discorso di Barack Obama sull'esigenza di ridurre il carico fiscale sulle imprese rientra bene nella concezione di Sacconi mentre fa a pugni con le interpretazioni “socialisteggianti” che i nemici interni e gli amici esterni attribuiscono alla nuova Amministrazione americana.

    Qui, però, forse Sacconi si fa trasportare dalla passione a considerare un esito quella che è oggi una prospettiva aperta ma tutt'altro che consolidata. Dire che “con la crisi mondiale finisce il Leviatano. Finisce lo stato pesante e invasivo” è forse una forzatura che nasce dall'ottimismo della volontà. D'altra parte Sacconi sa bene quanto grandi siano la forza d'inerzia e il complesso di interessi conservatori che rendono lo stato pesante una realtà tutt'ora prevalente. Proprio per questo è importante che per contrastarlo non ci si affidi puramente alle “tendenze di mercato” ma si punti, come fa Sacconi con tenacia e competenza, sulle forze reali della società, della vita, della solidarietà e della fiducia nell'uomo. Una riflessione culturale e antropologica sui mutamenti politici come la sua è un ingrediente essenziale per dare coscienza di sé al complesso processo di rinnovamento che si sta sviluppando pur tra mille contraddizioni.