Così Murdoch combatte i professionisti del declinismo giornalistico

Claudio Cerasa

Bisogna seguire i suoi quattrini per capire che razza di fine faremo. Ma fino a quando Rupert Murdoch continuerà a pompare ossigeno negli affaticati polmoni dell'editoria mondiale non è il caso di agitarsi più di tanto. Da mesi il ricco imprenditore australiano non perde occasione per lanciare segnali che sarebbe sciocco non considerare incoraggianti.

    Bisogna seguire i suoi quattrini per capire che razza di fine faremo. Ma fino a quando Rupert Murdoch continuerà a pompare ossigeno negli affaticati polmoni dell'editoria mondiale non è il caso di agitarsi più di tanto. Da mesi il ricco imprenditore australiano non perde occasione per lanciare segnali che sarebbe sciocco non considerare incoraggianti, e se uno degli uomini più ricchi del pianeta è convinto che la carta stampata sia un settore in cui ci si potrà ancora divertire – e magari anche arricchire – una ragione ci sarà.

    Ecco, mettiamola così: prima di chiunque altro Murdoch ha capito che la sfida per l'editoria del futuro sarà quella di creare un organo capace di muoversi con agilità su ciascuno dei binari che le nuove tecnologie offriranno nel tempo e non c'è dubbio che oggi la strada imboccata dal tycoon australiano sembra portare proprio lì, dritta nel mondo dell'iPad. “I giornali – ripete spesso Murdoch ai suoi collaboratori – continueranno a esistere ma alla fine di una transizione più o meno lunga diventeranno paperless, ovvero senza carta”. Tradotto significa che per potersi preparare ad affrontare con intelligenza i prossimi anni – e per provare a conquistare una volta per tutte quei lettori che oggi non ci pensano affatto a sporcarsi i polpastrelli con l'inchiostro dei giornali – i quotidiani dovranno tentare di promuovere la diffusione capillare di apparecchi simili all'iPad, abituandosi a poco a poco a essere trattati come se fossero delle canzoni da scaricare facilmente su programmi simili a quelli offerti da iTunes. E proprio i numeri dell'iPad si stanno rivelando una delle armi più efficaci tra i progetti del vecchio Rupert. Entro la fine dell'anno, infatti, saranno almeno quindici milioni gli iPad in giro per il mondo (entro il 2012 di tavolette con il logo della Apple ve ne saranno invece almeno 40 milioni) e i grandi numeri della Mela di Steve Jobs – ai quali presto si aggiungeranno quelli di altre aziende come Google e Verizon – hanno permesso ai giganti dell'editoria di ottenere risultati da sballo.

    Tanto che all'inizio dell'estate lo stesso Murdoch ha scoperto che il sito del Wall Street Journal aveva venduto 20 mila applicazioni per la tavoletta di Jobs, mettendo la sua News Corp nelle condizioni di incassare qualcosa come due miliardi e mezzo di dollari. Così, una volta sbirciati quei dati, Murdoch ha dedicato gran parte dell'estate a ragionare su quale sarebbe stata la prossima mossa da compiere per  la sua battaglia in difesa dei giornali; e alla fine la sintesi perfetta della nuova filosofia industriale dello squalo sembra essere tutta in un'idea anticipata tre settimane fa dai cronisti del Los Angeles Times: una testata costruita esclusivamente per vivere su tavolette simili a quelle della Apple – e che la News Corp presenterà poco prima di natale.
    Certo, è vero che Murdoch sta dedicando grande attenzione pure al mercato dei siti on line (a luglio ha deciso di eliminare i contenuti free dal sito inglese del Times e nonostante su quel portale il traffico sia sceso in modo considerevole – da 1,61 milioni di visitatori a luglio dai 2,2 milioni di giugno  – l'esperimento avrebbe superato ogni aspettativa, e presto Murdoch potrebbe ripetere l'operazione anche per il sito del Wall Street Journal). Ma in fondo, che il cuore del tycoon batta ancora forte per tutto ciò che vive con l'inchiostro lo si capisce anche da piccoli dettagli.

    Poco tempo fa è stato proprio Murdoch
    (insieme con le otto case editrici più importanti d'America) ad acquistare 1.400 pagine di giornale per promuovere una mastodontica campagna pubblicitaria finalizzata a difendere a oltranza la qualità della carta stampata. Poi, lo scorso giugno, ha scelto di comprare una piattaforma per sistemi di lettura elettronica con cui migliorare le performance del Wall Street Journal sull'iPad. E infine, poche settimane fa, ha nominato uno dei suoi dirigenti più fidati (John Houseman) a capo delle iniziative di giornalismo digitale. Ma non basta, perché è alla fine del 2009 che Murdoch ha fatto il suo investimento più significativo: spendendo 850 milioni di sterline non per comprare una nuova televisione, ma per acquistare lo stabilimento tipografico più grande del mondo. E' in Inghilterra ed è grande come venti campi da calcio messi tutti lì, uno a fianco all'altro.

    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.