Al via i colloqui di pace Israele-Palestina

La leggenda del grande cucitore

Ariel David

Il segretario di stato americano, Hillary Clinton, aprendo i negoziati diretti tra israeliani e palestinesi a Washington, ha detto che "l'iniziativa è un passo importante" per giungere ad una pace giusta e durevole in Medio Oriente, che l'America darà un "sostegno attivo e durevole" ai colloqui "ma non potrà imporre una soluzione".  Il premier israeliano, Benyamin Netanyahu, ha detto che i palestinesi devono riconoscere "Israele come lo stato nazione del popolo ebreo".

    Il segretario di stato americano, Hillary Clinton, aprendo i negoziati diretti tra israeliani e palestinesi a Washington, ha detto che "l'iniziativa è un passo importante" per giungere ad una pace giusta e durevole in Medio Oriente, che l'America darà un "sostegno attivo e durevole" ai colloqui "ma non potrà imporre una soluzione".  Il premier israeliano, Benyamin Netanyahu, ha detto che i palestinesi devono riconoscere "Israele come lo stato nazione del popolo ebreo" perché una pace vera e durevole può essere raggiunta solo con "concessioni dolorose e reciproche" da entrambe le parti.

    Dopo ventitré anni di chiusura, l'unico cinema di Jenin ha riaperto i battenti il mese scorso. I vip hanno calcato il tappeto rosso e hanno preso posto nella sala restaurata grazie ai fondi del governo tedesco. Sul grande schermo è stato proiettato un documentario su un ragazzo palestinese ucciso per errore dai soldati israeliani che scambiarono il suo fucile giocattolo per un'arma vera e i cui organi furono donati dai genitori ad alcuni malati in Israele in un gesto di riconciliazione. Intorno al cinema c'erano le uniformi blu delle forze di sicurezza palestinesi, intente a pattugliare le strade che fino a poco tempo fa erano territorio delle milizie e che hanno visto alcuni dei più violenti scontri con gli israeliani durante la seconda Intifada. Questa piccola inaugurazione di routine assume un altro significato se presa come rappresentazione della linea di governo dell'ospite d'onore dell'evento, il primo ministro dell'Autorità nazionale palestinese Salam Fayyad. Sicurezza e convivenza con Israele, stretti rapporti con l'occidente, crescita economica e rafforzamento delle istituzioni sono i pilastri di una politica i cui frutti si vedono a Jenin e in tutte le altre zone della Cisgiordania sotto il controllo palestinese.

    Ai colloqui di pace diretti tra israeliani e palestinesi
    che si aprono oggi a Washington i protagonisti in prima fila sono altri: il presidente Abu Mazen o il negoziatore Saeb Erekat, più attivi sulla scena internazionale e di fronte alle telecamere dei media. Ma è soprattutto a Fayyad che si deve il ristabilimento di quel minimo di fiducia reciproca e di tranquillità sul campo che permette al premier israeliano Benjamin Netanyahu di sedersi al tavolo del negoziato. Usando i poliziotti addestrati dagli Stati Uniti, il primo ministro di Ramallah ha portato avanti una linea dura contro Hamas e altri gruppi terroristici. Questo ha permesso a Israele di eliminare molti dei checkpoint che rendono difficile la vita dei palestinesi in Cisgiordania, allentare le misure di sicurezza e compiere altri passi concilianti, come lo smantellamento della barriera di cemento che nei giorni della seconda Intifada proteggeva il sobborgo di Ghilo, a Gerusalemme, dai cecchini palestinesi. Con la ripresa del commercio, l'arrivo d'investimenti e aiuti dall'estero, l'economia della West Bank cresce ora più rapidamente di quella israeliana, e vive un boom in forte contrasto con la stagnazione e la miseria della Striscia di Gaza governata da Hamas.

    Mentre in Cisgiordania il prodotto interno lordo è cresciuto del 7 per cento l'anno scorso, a Gaza metà della popolazione è disoccupata e l'80 per cento dipende dagli aiuti internazionali. A Ramallah, dove un tempo i carri armati israeliani assediavano il palazzo di Yasser Arafat, spuntano alberghi, ristoranti e negozi di lusso. Intanto, il quotidiano Yedioth Ahronot riferisce che nella Striscia di Gaza, isolata dall'embargo di Israele ed Egitto, gli uomini di Hamas concentrano le poche risorse sullo sviluppo del Fajr-5, un nuovo razzo capace di raggiungere Tel Aviv. I successi di Fayyad s'intrecciano con la politica di Netanyahu, che ha sempre considerato il miglioramento delle condizioni economiche dei palestinesi come premessa fondamentale per la pace.
    Per mantenere viva questa “pace economica” appoggiata da Israele, Fayyad, chiamato a guidare il governo di emergenza formato da Abu Mazen dopo la presa del potere di Hamas a Gaza nel 2007, deve continuare a mantenere stabile la Cisgiordania. Con più di trentamila uomini addestrati dal generale americano Keith Dayton, l'Anp ha potuto attaccare non solo i militanti del gruppo islamista ma anche le organizzazioni caritatevoli che ne costituiscono la base economica e sociale. I leader di Hamas vorrebbero vedere Fayyad processato o eliminato e non perdono occasione per minare la cooperazione sulla sicurezza con gli israeliani. Martedì sera, un commando di Hamas ha aperto il fuoco su una macchina nei pressi di Hebron, uccidendo quattro civili israeliani, tra cui una donna incinta. Il peggior attentato avvenuto negli ultimi anni nella West Bank non è soltanto un tentativo di troncare sul nascere i colloqui di pace e ricordare al mondo che Hamas non può essere ignorata. E' soprattutto una mossa per imbarazzare Fayyad e sfidare il suo controllo sull'area, che non può essere definito saldo.

    I negoziati sono ancora in piedi,
    ma nei prossimi giorni Gerusalemme osserverà con attenzione le mosse di Ramallah e delle sue forze di sicurezza, che saranno chiamate a ricercare i responsabili dell'attacco. Le truppe a disposizione dell'Anp sono viste con ambiguità in Israele, dove i generali dell'esercito avvertono spesso che gli uomini addestrati e finanziati da Washington potrebbero trasformarsi in un temibile avversario se l'attuale clima di distensione dovesse mutare. Fayyad è comunque considerato un interlocutore affidabile da molti israeliani, con in testa il presidente Shimon Peres, che lo chiama il “David Ben Gurion palestinese”, paragonandolo al padre fondatore dello stato ebraico. Per realizzare il sogno di uno stato palestinese, il premier segue una sua strategia, ormai chiamata “fayyadismo”, a volte con ammirazione e a volte con scherno. Secondo l'economista cinquantottenne, che ha studiato negli Stati Uniti, lo stato palestinese non può nascere solo dalla contrapposizione con Israele o da negoziati internazionali, ma deve essere creato sul campo, dal basso, partendo da istituzioni governative, scuole, ospedali, servizi di welfare e infrastrutture. Come ogni leader palestinese, Fayyad non si risparmia nel denunciare “l'occupazione israeliana”, e anche se contrario al terrorismo, considerato controproducente, appoggia gli atti di “resistenza popolare” non violenta, come le manifestazioni quotidiane contro la barriera di separazione che Israele ha costruito per fermare i kamikaze. Tuttavia, il “fayyadismo” non si concentra sul ruolo dei palestinesi come vittime, ma sui passi necessari per rendere credibile e concreta l'aspirazione a uno stato. Prima come ministro delle Finanze di Arafat, poi come premier sotto Abu Mazen, Fayyad si è battuto per eliminare la corruzione nell'Anp, assicurare l'ordine, riformare la giustizia e il fisco. Con un bilancio tuttora dipendente dalle donazioni della comunità internazionale (1,3 miliardi di dollari soltanto nel 2009), Fayyad ha cercato di tagliare le spese e aumentare le entrate, riuscendo per esempio a convincere i palestinesi, abituati ai servizi forniti gratuitamente dagli israeliani, a pagare la bolletta dell'elettricità. L'anno scorso, il premier ha presentato un piano per preparare le istituzioni e la società palestinese all'indipendenza entro il 2011, con l'obiettivo di creare uno stato che viva in pace a fianco d'Israele. Alla vigilia dell'inizio dei negoziati, Fayyad ha ribadito che lo stato palestinese sarà una realtà di fatto il prossimo anno, quale che sia il risultato delle trattative.

    “Se per una ragione o per un'altra, entro l'agosto 2011 i negoziati dovessero fallire, credo che avremo fatto così tanti progressi, in termini di fatti positivi sul campo, che la realtà s'imporrà sul processo politico e porterà al risultato che desideriamo”, ha detto in una recente intervista al quotidiano israeliano Haaretz. La tabella di marcia coincide con quella dei negoziati voluti dal presidente americano Barack Obama. Ma mentre la maggior parte degli israeliani e dei palestinesi non vede possibilità di successo per le trattative ad alto livello, considerate poco più che una passerella voluta da Obama in vista delle elezioni di midterm a novembre, molti analisti considerano l'approccio di Fayyad assai più realistico. Sono troppo lontane le posizioni delle due parti su questioni fondamentali come il diritto al ritorno dei profughi palestinesi o la divisione di Gerusalemme per far sperare in un esito positivo dei colloqui entro un anno, come vuole Washington. Anche se sul lungo periodo un accordo politico rimane insostituibile, è più probabile che nell'immediato si arrivi a una dichiarazione d'indipendenza unilaterale da parte dei palestinesi, tacitamente accettata da Israele, che poi resterà a guardare per verificare le capacità del nuovo stato di garantire la sicurezza e di non seguire il destino di Gaza, trasformata in una base di Hamas. Fayyad ha sempre negato di voler prescindere dal negoziato, ma la sua opera di “nation building” dal basso sembra fatta apposta per creare una via d'uscita in caso di un crollo delle trattative. L'approccio da tecnocrate all'indipendenza è scritto nel Dna politico di Fayyad e nella sua biografia. Il premier dell'Anp non ha il curriculum da militante tipico della maggior parte dei leader palestinesi e non ha fatto carriera nelle carceri israeliane o in esilio con Arafat.

    Nato nel 1952 in un piccolo villaggio della Cisgiordania vicino a Tulkarem, Fayyad ha conseguito un dottorato in economia presso l'Università del Texas per poi lavorare alla Banca mondiale e al Fondo monetario internazionale. Nel 2002, nei giorni più bui della seconda Intifada, fu Condoleezza Rice, il segretario di stato di George W. Bush, a premere su Arafat perché lo nominasse ministro delle Finanze con il compito di ripulire la corrotta amministrazione dell'Anp. Da allora, Fayyad è rimasto il leader palestinese più amato dalle cancellerie occidentali, con numerose amicizie anche in Israele, incluso l'influente governatore della Banca centrale, Stanley Fisher, suo ex collega nella carriera presso le grandi istituzioni finanziarie internazionali.
    Odiato da Hamas ma inviso anche ad al Fatah, il partito laico di Abu Mazen che non gli perdona le purghe contro migliaia di suoi funzionari corrotti o superflui, Fayyad nel 2006 ha fondato con altri intellettuali palestinesi un suo partito, La Terza Via. Anche se è un rivale politico potenzialmente pericoloso per Abu Mazen, la presenza di Fayyad nell'esecutivo rappresenta quasi una condizione fondamentale per la prosecuzione dei generosi finanziamenti internazionali, il che ne ha fatto il candidato ovvio per la guida del governo formato dopo la rottura con Hamas del 2007.

    L'indipendenza di Fayyad è la sua forza, ma anche la sua principale debolezza. Se, secondo gli ultimi sondaggi, il 55 per cento dei palestinesi approva il suo operato, soltanto il 13 per cento lo vorrebbe come vice presidente a fianco del rais Abu Mazen. Alle elezioni legislative del 2006, vinte da Hamas, La Terza Via racimolò solo il 2,4 per cento dei voti, guadagnando due seggi in Parlamento. Il problema è che Fayyad non ha una vera base, spiega Itamar Rabinovich, docente di diritto internazionale presso l'Università di Tel Aviv, ma se dovesse entrare nei giochi sporchi della politica, rischierebbe di perdere la reputazione di burocrate al di sopra delle parti che lo ha portato così in alto. Negli ultimi mesi, il “Ben Gurion palestinese” ha cercato di migliorare il suo profilo politico con discorsi settimanali radiofonici e passeggiate a contatto con la popolazione. In molte delle sue iniziative comincia a mostrare meno realismo e più populismo. In primavera ha fatto approvare una legge che prevede pene severe per chi vende i prodotti fatti negli insediamenti israeliani, e poi è andato in giro a distribuire volantini a favore del boicottaggio e a gettare nei falò i materiali confiscati dalla polizia nei negozi. Oltre a cercare il consenso popolare, queste mosse mirano ad allontanare il marchio di collaborazionista con Israele.
    Fra i critici di Fayyad molti non credono al suo miracolo economico e vedono una svolta autoritaria dietro agli sforzi del premier di mantenere in piedi un governo d'emergenza privo della legittimazione del voto. Secondo Nathan Brown, professore di scienze politiche presso l'Università George Washington nella capitale americana, l'Anp sempre più spesso utilizza la polizia per reprimere ogni forma di dissenso. Le elezioni municipali sono continuamente rinviate e, per timore di una vittoria di Hamas, non si profila all'orizzonte un voto presidenziale, anche se il mandato di Abu Mazen è scaduto nel 2009. Brown, autore di uno studio sull'Amministrazione Fayyad, sostiene che il rafforzamento istituzionale dell'Anp procede a rilento e il boom economico è principalmente frutto degli aiuti internazionali.

    “Il Fayyadismo sta costruendo poche istituzioni, e quel poco che crea lo fa in un contesto autoritario”, scrive Brown. Il governo non potrebbe sopravvivere in un clima più democratico, e sarebbe destinato a perire anche di fronte ad una nuova crisi con Israele o con Hamas, perché si ritroverebbe presto solo, privo dell'appoggio della popolazione e delle fazioni importanti. Più morbido il giudizio di Rabinovich: “Molti dei risultati sono stati esagerati, ma la politica palestinese è quasi più complicata di quella israeliana e c'è molta gelosia e rivalità nelle critiche rivolte in casa a Fayyad. E' innegabile che l'economia sia rifiorita, la sicurezza migliorata e che ora i palestinesi possano mostrarsi al negoziato come dei partner credibili”, dice Rabinovich. Per ora, il vero pericolo per il premier arriva dai tentativi di destabilizzazione di Hamas che mostrano le falle nell'apparato di sicurezza dell'Anp. Fayyad ha reagito con energia di fronte alla sfida portata con l'attentato di martedì. All'indomani le forze di sicurezza palestinesi hanno arrestato nell'area di Hebron trecento persone sospettate di legami con l'organizzazione terroristica. Da Gaza però, dove migliaia di persone sono scese in strada per festeggiare l'omicidio dei quattro civili israeliani, i leader di Hamas promettono: questo è soltanto il primo di una lunga serie di attacchi.