La guerra dei cent'anni
Gli eroi son tutti giovani e belli
E' una resa, quella alla morte? Che ne è del romantico spleen, del desiderio per sua natura insoddisfatto di eternità e infinità? Una vita più lunga potrà mai calmare, come un palliativo, la bramosia dei frutti che nascono dall'Albero della vita? So che i miei figli vivranno, sani per scelta, in un'epoca in cui le rivoluzioni di oggi saranno realtà assodate, se non il passato da superare.
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E' uscito “Lettera a un bambino che vivrà cent'anni. Come la scienza ci renderà (quasi) immortali”, ultimo libro del genetista Eduardo Boncinelli. Se don Verzé promette in futuro “centoventi anni per tutti”, Boncinelli è convinto che quella prospettiva non sia irreale. Ma (ammesso e non concesso) è anche desiderabile? Pubblichiamo a rotazione, per tutto il giorno, sei interventi sul tema di mamme (o quasi) foglianti.
E' una resa, quella alla morte? Che ne è del romantico spleen, del desiderio per sua natura insoddisfatto di eternità e infinità? Una vita più lunga potrà mai calmare, come un palliativo, la bramosia dei frutti che nascono dall'Albero della vita? So che i miei figli vivranno, sani per scelta, in un'epoca in cui le rivoluzioni di oggi saranno realtà assodate, se non il passato da superare: la connettività, l'informazione globalizzata, l'aspettativa di vita. In “Lezioni spirituali per giovani samurai”, Yukio Mishima rifiuta l'idea classica del “mens sana in corpore sano” e dice: “Dovrebbe essere così concepita: ‘Possa una mente sana albergare in un corpo sano'”. Mishima aveva un rapporto intimo con la morte, che si procurò a 45 anni tramite il seppuku, il suicidio rituale di tradizione giapponese, per protestare contro la smilitarizzazione del suo paese imposta dagli Stati Uniti (e anche, contro la decadenza dei giapponesi influenzata dall'occidente: “Mentre nel nostro animo dimorano ancora tracce dello spiritualismo giapponese che disprezza il corpo, si sta d'altra parte diffondendo l'edonismo materialistico importato dall'America”).
Per Mishima il seppuku è la vera immortalità, il coraggio di essere “disposti a morire”. Il taglio rituale si esegue in corrispondenza dell'hara, il centro della forza fisica e spirituale (di qui il suicidio simile, ma meno nobile, dell'harakiri). Nell'attuazione più completa del nichilismo nietzschiano, l'eroe cede il passo alla morte non solo in maniera artistica, plateale, ma anche e soprattutto in giovane età. “Non c'è nessuno tra voi disposto a morire?”, si chiede lo scrittore giapponese nel suo ultimo discorso il 25 novembre 1970, in diretta televisiva, dopo aver parlato a un reggimento di giovani militari. Una società che sfugge al contatto fisico e che rinuncia alla “battaglia”, non esalta il corpo ma lo svilisce, perché lo mercifica, mortificando il suo ruolo fondamentale di involucro dell'anima. Se oggi Mishima fosse vivo avrebbe 85 anni, sarebbe un quasi centenario, avrebbe vissuto completamente il decadimento della sua nazione, e non sarebbe granché contento di sopravvivere.
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