Parlano Confalonieri e Feltri

“Caro Cav., lascia che Fini si faccia un partito e diventi tuo alleato”

Salvatore Merlo

Fallita l'ultima segretissima mediazione per trattenere Gianfranco Fini nel Pdl, domani l'ex leader di An si prepara a far intravvedere, a Mirabello, la fisionomia di un suo nuovo partito. In una breve conversazione con il Foglio, Fedele Confalonieri e Vittorio Feltri, personalità molto diverse ma entrambe legate al Cavaliere, sostengono che questa soluzione potrebbe non essere il disastro preconizzato da una parte dell'entourage berlusconiano.

    Fallita l'ultima segretissima mediazione per trattenere Gianfranco Fini nel Pdl, domani l'ex leader di An si prepara a far intravvedere, a Mirabello, la fisionomia di un suo nuovo partito. In una breve conversazione con il Foglio, Fedele Confalonieri e Vittorio Feltri, personalità molto diverse ma entrambe legate al Cavaliere, sostengono che questa soluzione potrebbe non essere il disastro preconizzato da una parte dell'entourage berlusconiano. Posta l'incompatibilità all'interno dello stesso partito di un imprenditore dal piglio carismatico e di un professionista politico, “l'unica pace possibile è una pace tra diversi: la nascita di un partito finiano, federato con il Pdl”.

    Confalonieri, presidente di Mediaset e vecchio amico franco e leale di Berlusconi, ha il suo solito modo pragmatico, rilassato, ma non distaccato, di giudicare la situazione più intricata, che apparentemente non promette sbocchi costruttivi. “Capisco che Silvio si sia stufato, la sua insopportazione della lingua di legno della politica, quando la politica è tutta conflitti e prove di forza, è in un certo senso anche una sua risorsa, qualcosa in cui la gente che lo segue, la maggioranza reale di questo paese, si riconosce”, dice al Foglio. “Ma secondo me, Mirabello o non Mirabello, non c'è ragione per continuare a tormentarsi e a correre rischi con l'elettorato: il partito nato dal famoso predellino, il Pdl, è percepito come un gran partito, robusto, sapiente, in crescita; solo che non è un luogo dove possano coabitare il temperamento di un Berlusconi, che non ha mai accettato mediazioni d'apparato e di politica professionale nel suo rapporto diretto con l'elettorato, e i metodi, il linguaggio e le ambizioni di un Fini, che ha una carriera immersa nelle mediazioni della politica, nel modo di essere dei partiti tradizionali”.

    Il presidente di Mediaset ammette, insomma, che forse ci si era tutti un po' sbagliati – per primi i duellanti Berlusconi e Fini – quando si immaginava che Silvio, l'Unto del consenso popolare, maestro più della rappresentazione che della rappresentanza, potesse convivere con un vecchio animale da Parlamento come Fini, con un esperto dei minuetti e dei codici rituali della politica. Eppure, un sistema di cavarsi fuori con successo dai fili sempre più intorcinati di questa bellicosa convivenza c'è, dice Confalonieri. I rapporti personali tra i due sono quelli che sono, “però il bipolarismo, una solidarietà di fondo intorno a certi valori, e molto altro, ecco, c'è tanta esperienza e ci sono tante idee che al fondo possono essere comuni: conviene smetterla di pensare a una riunificazione, forse, e fare la pace tra soggetti separati. Un po' di buonsenso, un po' di raziocinio, uno scatto di fantasia e di buonumore nell'interesse dei moderati, dello spirito riformatore del centrodestra, ma soprattutto nell'interesse del paese”.

    Vittorio Feltri, che con il suo Giornale
    da mesi veleggia su una efficace e controversa campagna giornalistica sul famoso immobile di Montecarlo, chiacchierando con il Foglio suggerisce sinteticamente, con la sicurezza che tutti gli conoscono, i passaggi di quello che definisce l'unico accordo ormai possibile. “Lo schema è apparentemente semplice: Fini a capo di un partito federato con il Pdl ma legato al vincolo di un preciso patto programmatico di governo. C'è poco altro da fare”, dice Feltri. “Costringere Fini a rimanere non è possibile, non è più una soluzione praticabile. Resta in campo solo un'opzione che mi sento di suggerire al Cavaliere, la possibilità di un'alleanza, sia pure non matrimoniale, con l'ex presidente di An. A Fini va concesso liberamente di ricostituirsi un proprio pollaio. D'altra parte lui è un capetto, lo è sempre stato”.

    “In An – continua Feltri – c'era tutto fuorché la democrazia interna. Fini, in casa sua, vuole avere voce in capitolo. Vuole comandare. Adesso deve poter plasmare un proprio partito e Berlusconi deve recuperarlo così, da alleato. La chiami come vuole questa sua nuova creatura, anche An se gli piace ancora, ma sigli subito con il premier un dettagliato accordo programmatico sull'azione di governo. Attenzione: det-ta-glia-to. Ci si deve intendere sui contenuti, perché siamo tutti d'accordo che si debba fare una riforma della Giustizia, ma poi bisogna anche vedere in concreto, nel dettaglio, cosa significa”. Ma questa sorta di patto federativo non è semplice, dice Feltri. “Non mi faccio illusioni, è complicatissimo. Fini e Berlusconi hanno dismostrato una irrazionale incompatibilità caratteriale. Se non si tiene conto di questo aspetto, non si capisce bene neanche la ragione per la quale i due non siano riusciti a trovare un compromesso (perché il compromesso a un certo punto era possibile) in tutti questi mesi. Tuttavia adesso non ci sono troppe alternative. O si accordano separandosi pacificamente, o si va dritti dritti alla crisi di governo.

    Che si possa ricucire il Pdl è escluso categoricamente, insistere su questa strada significa ricercare una pace impossibile. Ce la faranno? Non lo so. E' sicuro, però, che i cattivi umori e i fastidi personali complicano questo freddo e razionale corso degli eventi appena descritto. Detto questo, paradossalmente, potrebbe essere la forza della disperazione a far funzionare le cose. E' come quando un malato terminale abbandona il clinico per un santone, o per qualche cura sperimentale in paesi lontani”. La metafora non sarà allegra, ma rende l'idea.

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.