La bravura di Celestini ci fa cambiare idea su di lui

Mariarosa Mancuso

Ascanio Celestini era per noi, dopo il film sui call center “Parole sante”, un regista e attore di massimo impegno civile e minimo fascino cinematografico. Era legato, come Marco Paolini, al teatro di parola e all'affabulazione. Era interessato alla guerra, al lavoro e ai manicomi, noi preferiamo le vetrine di Tiffany, “un posto dove non può succederti niente di male”. “La pecora nera” fa cambiare idea. Per la bravura nell'arte del racconto, praticata pochissimo nel cinema italiano.

    LA PECORA NERA di Ascanio Celestini, con Maya Sansa (Venezia 67)
    Ascanio Celestini era per noi, dopo il film sui call center “Parole sante”, un regista e attore di massimo impegno civile e minimo fascino cinematografico. Era legato, come Marco Paolini, al teatro di parola e all'affabulazione. Era interessato alla guerra, al lavoro e ai manicomi, noi preferiamo le vetrine di Tiffany, “un posto dove non può succederti niente di male”. “La pecora nera” fa cambiare idea. Per la bravura nell'arte del racconto, praticata pochissimo nel cinema italiano. Per la lingua che splendidamente regge. Per i manicomi trattati come fonte di storie, non oggetto di sdegno e denuncia.

    I BACI MAI DATI di Roberta Torre, con Donatella Finocchiaro (Controcampo italiano)
    “Sì, sì… parli con la Madonna e sei la cugina di Paris Hilton”. Abbiamo un debole per battute come queste, che spalancano le porte su un mondo di finte bionde, parrucchiere, unghie viola, nutella nelle crêpes come simbolo ultimo dell'amore materno, abiti stretti che si spingono alle più estreme frontiere del leopardato, caschi rosa con orecchie da coniglio. Siamo a Librino, quartiere periferico di Catania progettato da Kenzo Tange, il tipo di architetto che a volte dimentica le scale (copyright “Bouvard e Pécuchet”, validità illimitata). La statua della Madonna perde la testa, una ragazzina la ritrova, il vicinato viene a chiedere la grazia di un impiego al supermercato o di una raccomandazione in tv. Lascia banconote spiegazzate, porta via una palla di neve con il volto della nuova Bernadette, che preferirebbe andare al mare.

    HAPPY FEW di Antony Cordier, con Élodie Bouchez (Venezia 67)
    Abbasso l'adulterio borghese, viva gli scambi tra coppie alla luce del sole. L'ultimo dei sessantottini filma la sua utopia: il tradimento a incastro, io di pomeriggio vado a letto con tua moglie e in cambio ti cedo la mia, di sera a cena in quattro, di notte ognuno torna nella sua casetta. Si ammucchiano impanati nella farina. Forse lo racconteranno ai nipotini.

    THE HAPPY POET di Paul Gordon, con Paul Gordon (Giornate degli Autori)
    Ha studiato scrittura poetica, vuole metter su un baracchino di sandwich biologici fatti in casa dopo aver annusato a uno a uno i peperoni e le zucchine al supermercato. Nel parco di Austin (dove il regista, sceneggiatore e attore è nato e cresciuto) preferirebbero un hot dog. Poi qualcuno cede, mentre “The Happy Poet” (così la ditta) fa consegne a domicilio e sconti promozionali. Commedia minima, ritmo e silenzi deadpan, esordio notevole.