Il corallo no
Così Fini ha rovinato una festa con toni e colori (quasi) perfetti
La luce del tramonto è perfetta nei comizi, tutti diventano più belli perché le abbronzature mattonate sfumano in una nuance più romantica, da tè nel deserto: Gianfranco Fini a Mirabello, in piedi sul palco con lo sguardo fiero, la voce ferma, evocava tempeste di sabbia, tormenti amorosi e notti stellate.
La luce del tramonto è perfetta nei comizi, tutti diventano più belli perché le abbronzature mattonate sfumano in una nuance più romantica, da tè nel deserto: Gianfranco Fini a Mirabello, in piedi sul palco con lo sguardo fiero, la voce ferma, evocava tempeste di sabbia, tormenti amorosi e notti stellate. Lo scenario era sentimentale (con vecchi signori tremanti e commossi), la citazione di Ezra Pound (sull'uomo che, se non lotta per le proprie idee, o non valgono nulla le idee o non vale nulla lui) era già stata utilizzata da Fini molte volte e infondeva coraggio: è stato un tramonto di rivincita e di costruzione di un eroe solitario, qualche foglietto di appunti scritti a mano ma lo sguardo sempre alto e incurante delle zanzare (a Mirabello a quell'ora sono cattivissime), gli occhi che abbracciano il popolo di destra, quello che ama sentirsi sempre solo contro tutti.
La cravatta regimental con la riga color corallo ha rovinato tutto. Non si possono dire cose serie, anche rabbiose, sulla fine del Pdl, sul principio di libertà, sul dissenso politico, sul regime stalinista e addirittura sulla “lapidazione di tipo islamico” (per fortuna Sakineh non ha potuto ascoltare il paragone fra le proprie sventure e quelle della famiglia di Fini) con un cravattone da agenzia immobiliare, non si può essere accolti dai giornali antiberlusconiani come un salvatore della politica e un idolo della sinistra con un nodo così largo, con il collo della camicia alto, con quei gemelli ai polsi.
Quando si parla da eroe (criticando anche tutto il resto: i telegiornali, i tagli, Gheddafi, la Lega, la scuola) bisognerebbe anche vestirsi da eroe, un po' stazzonato per le notti insonni, un po' pallido e non con il volto da “Natale sul Nilo” (Alessandra Longo su Repubblica ha scritto, estasiata, che “Adolfo Urso non sembra più lui, la camicia di lino fuori dai pantaloni. Per non dire di Andrea Ronchi”: sono usciti miracolosamente dalla tradizionale classificazione di bruti picchiatori a un comizio di missini e hanno acquistato la dignità di esseri umani a cui si può perfino accostare la parola “lino”). La presentabilità sociale del leader solitario, “stanco ma felice” perché ha fatto quel che era giusto fare è raggiunta, nonostante il cognato, ma il cammino estetico è ancora lungo, però il bacio lanciato dal palco al tramonto è stato efficace, ha sigillato un'unione profonda e non soltanto amorosa, e Elisabetta Tulliani, seduta di fronte a lui, era altrettanto intensa, orgogliosa, commossa, ma sempre troppo biondo paglierino.
Il Foglio sportivo - in corpore sano