Money League/15

La Turchia prova a entrare in Europa a calci

Francesco Caremani

Nemmeno il Premio Nobel per la Letteratura Orhan Pamuk sa resistere al fascino e al mistero del tifo calcistico, per chi è nato a Istanbul un secondo vestito che racconta chi sei e da dove vieni, più di tanti altri ornamenti. Lui e il padre tifano per il Fenerbahçe, perché tenere per i gialloneri è come convertirsi a una religione, mentre gli zii tengono per il Besiktas e l'odiato Galatasaray.

    Nemmeno il Premio Nobel per la Letteratura Orhan Pamuk sa resistere al fascino e al mistero del tifo calcistico, per chi è nato a Istanbul un secondo vestito che racconta chi sei e da dove vieni, più di tanti altri ornamenti. Lui e il padre tifano per il Fenerbahçe, perché tenere per i gialloneri è come convertirsi a una religione, mentre gli zii tengono per il Besiktas e l'odiato Galatasaray. Bianconeri e giallorossi sono divisi dal censo, squadra del popolo la prima, squadra della ricca borghesia e dei rampolli della classe dirigente la seconda, nata e cresciuta nel quartiere di Galata, tra influssi genovesi ed ebraici. Tanto da considerare i sostenitori del Fenerbahçe delinquenti comuni o giù di lì, ma tra le case di Fener si sogna il momento in cui metteranno fine all'ingiusto dominio giallorosso; anche se hanno vinto gli stessi scudetti (17) il Galatasaray ha conquistato più coppe e, soprattutto, una Uefa e una Supercoppa Europa, cosa mai riuscita prima a una squadra turca.

    Chissà se Muammar Gheddafi pensava a questo quando ha dichiarato che l'Islam dovrebbe diventare la religione di tutta l'Europa e che il primo passo sarà l'entrata della Turchia nella Ue.
    Passo che la Federazione calcistica ha compiuto nel 1962 aderendo all'Uefa, quando già nel '23 era affiliata alla Fifa, anche se gli anni d'oro del calcio della mezzaluna sono questi del terzo millennio con il terzo posto mondiale del 2002 e quello europeo del 2008. Anche perché, non ce ne voglia Pamuk, dopo il declino internazionale del Galatasaray nessun'altra squadra è riuscita a recitare parti da protagonista. Colpa anche di un movimento in cui solo cinque club hanno vinto il campionato, tre dei quali di Istanbul, uno di Trebisonda e nel 2010 la sorpresa del Bursaspor.
    Questo nonostante i grandi investimenti delle campagne acquisti 2008-09 e 2009-10 (fonte transfermarkt.de) in cui le 18 squadre della Süper Lig hanno speso rispettivamente 82.895.000 e 87.455.000 euro, per tornare quest'anno a poco più di 67 milioni di euro, cifre ridicole se confrontate con il mercato delle sole formazioni allenate da Mourinho. Proprio il Fenerbahçe (tradotto: la luce, il faro) è quella che ha speso di più: 22 milioni di euro per quattro giocatori, dimostrando che non vincere il titolo dal 2007 e vedere primeggiare le altre squadre della capitale è un peso insopportabile. Nel 2010 ne aveva spesi addirittura 28 diventando il diciannovesimo club europeo che aveva investito di più sul mercato, dopo il Chelsea e prima del Siviglia (fonte futebolfinance.com).

    La generale controtendenza è frutto anche della crisi economica che ha portato in prima squadra tanti giovani e ha delineato una campagna acquisti con tanti rientri dai prestiti e con arrivi e partenze a parametro zero. Decisamente in linea con molti altri campionati europei. Il Galatasaray ha addirittura venduto per oltre 15 milioni e comprato per 9,5 con un attivo di quasi 6. A raccattarne i resti più le squadre arabe che quelle europee, anche perché dopo l'innamoramento dei primi anni Duemila il calciatore turco pare non andare più di moda, sempre in bilico fra talento, forza fisica, scarsa disciplina e presenza mentale in campo.
    Nelle ultime cinque stagioni le squadre turche hanno speso 353.155.000 euro per comprare i giocatori, meno di quanto la Premier League ha speso solo quest'anno. Questo, però, non impedisce alla Süper Lig di essere il sesto campionato in Europa per diritti televisivi, 260,3 milioni l'anno con contratto in scadenza nel 2014 (fonte futebolfinance.com), dimostrando un importante appeal locale, senza contare le varie partecipazioni alle coppe europee.

    Orhan Pamuk ricorda lo 0-8 subito dalla Turchia contro l'Inghilterra nel 1980 come un evento luttuoso, ma sa benissimo che la nomenklatura turca ha trasformato il calcio in una formidabile macchina che produce nazionalismo e xenofobia. Processato per aver ammesso lo sterminio di armeni e curdi da parte del governo durante la Prima guerra mondiale, non sa resistere all'immagine poetica dei giocatori del Fenerbahçe che entrano in campo con le magliette gialle fluttuando come canarini. Dimenticando che la frangia estrema degli ultrà si chiama “Kill for You” e che spesso si scontrano a coltellate con le tifoserie rivali. Ma il peggio avviene nelle serie inferiori dove ci sono dei veri e propri ras che intimoriscono società e giocatori a tal punto da fargli fare quello che vogliono. Be', fosse per questo la Turchia potrebbe già entrare in Europa.