Tra l'unità d'Italia e un western con troppe donne

Mariarosa Mancuso

Mentre gli insorti risorgimentali cercano di raggiungere Garibaldi, nell'Aspromonte spunta il cemento armato: piano terra con le mezze colonnine sul tetto pronte per il secondo, quando il figlio o la figlia si sposeranno. “Il tipico paesaggio italiano”, disse una volta l'antropologo Franco La Cecla, suggerendo l'inserimento nel museo delle tradizioni popolari cose come gli aratri contadini (e la tavernetta).

    NOI CREDEVAMO di Mario Martone, con Luigi Lo Cascio (Venezia 67)
    Mentre gli insorti risorgimentali cercano di raggiungere Garibaldi, nell'Aspromonte spunta il cemento armato: piano terra con le mezze colonnine sul tetto pronte per il secondo, quando il figlio o la figlia si sposeranno. “Il tipico paesaggio italiano”, disse una volta l'antropologo Franco La Cecla, suggerendo l'inserimento nel museo delle tradizioni popolari cose come gli aratri contadini (e la tavernetta). Nel film tratto dal romanzo di Anna Banti “Noi credevamo” (l'origine nobile non giustifica comunque il titolo respingente) segnala che si evoca il passato per alludere al presente. Sorpresa: le luci sono giuste, i dialoghi non suonano falsi, le spiegazioni latitano. Dura poco. La meglio gioventù ottocentesca è divisa in gruppuscoli, cavillosa, affascinata dal terrorismo, al dunque i poveri sono poveri e i ricchi sono ricchi, il film si perde nei dettagli. Nulla che faccia venir voglia di sventolare il tricolore.

    BALADA TRISTE DE TROMPETA
    di Alex de la Iglesia, con Antonio de la Torre (Venezia 67)
    I primi dieci minuti fanno dire: oddiomio un altro film sulla guerra civile spagnola. A consolarci una serie di immagini veloci che mostrano spettacoli circensi e star della nascente tv spagnola. E' una delle piste di questo folle film, diretto dal regista di “Crimen Perfecto” e “Il condominio”. Si fronteggiano due clown, l'Augusto e il Bianco (sono i nomi tecnici: il Bianco è quello che prende gli schiaffi). Entrambi amano una bella acrobata che va a letto con il primo, facendosi riempire di botte ogni sera, e dall'altro si fa accompagnare al luna park, alla casa degli orrori. Fantasia sfrenata, black humour, grand guignol (nel senso nobile), melodramma, uno dei più spaventosi trucchi da clown immaginabili.

    I'M STILL HERE
    di Casey Affleck, con Joaquin Phoenix (fuori concorso)
    E' uno scherzo? Sono paturnie vere? Per la stima che portiamo a Joaquin Phoenix pensiamo sia un mockumentary. Ritirarsi davvero dalle scene per fare il rapper con la barba incolta e la maglietta bisunta, dopo il magnifico “Two Lovers” di James Gray, è puro masochismo. 

    1960 di Gabriele Salvatores (fuori concorso)
    Materiali delle teche Rai con i soliti soggetti: vacanze al mare, lambrette, contadini, giro d'Italia, tram con grappoli di adulti e bambini tipo Bombay, intervistatori con l'insopportabile birignao di superiorità . Tiene insieme le immagini il racconto di un bambino (la tecnica si chiama found footage, consiste nell'inventare una storia nuova con vecchi pezzi di pellicola) che poi vorrà fare il regista. E' il finale narcisista di moda quest'anno, già visto in “Miral”.

    MEEK'S CUTOFF di Kelly Reichardt, con Michelle Williams (Venezia 67)
    Il western prediligono lo schermo panoramico, la regista di “Wendy e Lucy” sceglie il formato della tv che fu. Nei western le donne impicciano, e qui le pioniere sono al centro della scena. Il cinema vive di primi piani, e qui riconosciamo a malapena Paul Dano del “Petroliere” e Zoe Kazan. Il messaggio compare con il pellerossa, l'unico che può tirar fuori i nostri dal guaio in cui si sono ficccati seguendo i consigli della loro guida Meek. Mea culpa per come gli americani trattano gli stranieri, gente che “non ama la vita come la amiamo noi”.