Perdita di un monopolio
Ecco perché Di Pietro spara più contro Fini che contro il “caimano”
Da circa due mesi Antonio Di Pietro è, in buona compagnia del poco amato Cavaliere, il più feroce critico di Gianfranco Fini. L'unico, tra gli esponenti dell'opposizione, a giudicare “furbesca” e “poco credibile” la recente traiettoria del presidente della Camera; l'unico ad averne chiesto le dimissioni dallo scranno più alto di Montecitorio.“Fini fa il pentito a metà”, ha ripetuto ieri pomeriggio l'ex pm alle agenzie: una melopea, per chi non avesse avuto occasione di ascoltarla, già cadenzata nel corso della mattina a Radio 1.
Da circa due mesi Antonio Di Pietro è, in buona compagnia del poco amato Cavaliere, il più feroce critico di Gianfranco Fini. L'unico, tra gli esponenti dell'opposizione, a giudicare “furbesca” e “poco credibile” la recente traiettoria del presidente della Camera; l'unico ad averne chiesto le dimissioni dallo scranno più alto di Montecitorio.“Fini fa il pentito a metà”, ha ripetuto ieri pomeriggio l'ex pm alle agenzie: una melopea, per chi non avesse avuto occasione di ascoltarla, già cadenzata nel corso della mattina a Radio 1 e nelle settimane passate rimbalzata attraverso quotidiani e televisioni. “Fini lancia accuse pesanti dicendo che Berlusconi fa un uso personale delle istituzioni, ma poi gli riconferma la fiducia. E' una furbata che noi denunceremo. Non ci si può accorgere dopo quindici anni, quando conviene, che quello è il caimano”. Così Di Pietro sta cercando di sabotare il disordinato tentativo con il quale una delle ali del Pd blandisce Fini immaginando di poter abbattere Berlusconi.
A dettare questa singolare linea (singolare perché la constituency dipietrista, notoriamente, si fonda sull'obiettivo ultimo di liberarsi per sempre del Cav.) è imposta a Di Pietro dai sondaggi riservati. Cosa dicono? L'Idv è in calo di quasi due punti rispetto alle scorse elezioni che fecero sognare ai manettari d'Italia il traguardo dell'8 per cento. L'ex pm si è convinto che a danneggiarlo siano Beppe Grillo e Fini. Il primo, crede l'ex pm, erode voti a sinistra, mentre il secondo lo aggredisce da destra. D'altra parte, come sostiene da un po' di tempo anche la sondaggista preferita di Berlusconi, Alessandra Ghisleri, “Fini in questa fase è percepito da un segmento dell'opinione pubblica come un avversario capace di far male al Cavaliere”. Più di Tonino. Il quale, non potendo prendersela con il consanguineo Grillo, si concentra sull'ex leader di An. Arrivando – non è un paradosso – a un volume di fuoco contro Fini quasi superiore al trattamento solitamente riservato al “pidduista di Arcore”. Per lui il problema è serio.
Fini è già l'eroe del Fatto quotidiano, difeso in prima pagina da Marco Travaglio per la vicenda di Montecarlo proprio nei giorni in cui Di Pietro – invece – ne chiedeva le dimissioni assieme ai berlusconiani Cicchitto e Capezzone. Non bastasse, Antonio Padellaro, dopo Mirabello, si è convinto anche lui e ieri ha ribaltato le accuse dipietriste. Se l'ex pm sostiene che non ci si può accorgere dopo quindici anni che Berlusconi è il caimano, il direttore del Fatto ha scritto: “Se nella vita esiste una seconda volta che non cancella la prima ma può riscattarla, dobbiamo riconoscere che Fini ci si è buttato dentro giocandosi tutto”. Chissà che ne pensa Di Pietro. Non solo vede insidiato il proprio ruolo di monopolista antiberlusconiano, ma ora intravvede pure il proprio declino nel viso di Fini e nei lenti smottamenti della sinistra. Il pur evanescente corteggiamento tra una parte del Pd, i centristi di Casini, l'Api di Rutelli e i finiani, si basa, tra le altre cose, su una premessa che il leader dell'Udc ha già formalizzato: non se ne farà mai nulla finché c'è Di Pietro.
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