Il film sulla negra culona divide Venezia (ma è uno dei più belli)
“Venghino signori, chi sarà tanto coraggioso da toccarla?”. L'uomo ha la frusta da domatore. Sul palco, accanto alla sua gabbia, un'africana con addosso un aderentissimo costume color carne, molte collane, un perizoma di pietre dure. Ringhia e cerca di mordere (come da copione), mentre uomini e donne (come da copione) ridacchiano e allungano la mano per palparle il gigantesco culo.
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VENUS NOIRE di Abdellatif Kechiche, con Yahima Torrès, Olivier Gourmet (Venezia 67)
“Venghino signori, chi sarà tanto coraggioso da toccarla?”. L'uomo ha la frusta da domatore. Sul palco, accanto alla sua gabbia, un'africana con addosso un aderentissimo costume color carne, molte collane, un perizoma di pietre dure. Ringhia e cerca di mordere (come da copione), mentre uomini e donne (come da copione) ridacchiano e allungano la mano per palparle il gigantesco culo. La Venere ottentotta si esibiva a Piccadilly, tra altri fenomeni da baraccone, nel 1810. Barnum non aveva ancora messo insieme una fortuna mostrando donne barbute, sirene, una vecchietta afroamericana spacciata come balia di George Washington; imparerà presto che i mostri affascinano il pubblico pagante. Tod Browning non aveva ancora girato “Freaks”. Diane Arbus – che i nani e i giganti li fotografava, portando il più popolare degli spettacoli nei musei – sarebbe venuta molto dopo. Da Londra, Saartjie Baartman fuggirà a Parigi. La lega per l'abolizione della schiavitù l'aveva trascinata in tribunale con il protettore Hendrick Caesar, partito con lei dal Sudafrica in cerca di fortuna. La venere callipigia non approfittò dell'occasione, né dello sdegno dell'opinione pubblica, per fuggire o trovarsi un lavoro onesto e malpagato. Continuò a ballare, suonare il violino, ringhiare, dimenare il culo. Fino ad attrarre l'attenzione di George Cuvier. Il più famoso naturalista ottocentesco le misurò il cranio ma non riuscì a farle spalancare le gambe, per osservare di persona le piccole labbra pendule, note alla scienza come “grembiule ottentotto”.
L'esplosiva mistura di spettacolo, esibizionismo, voyeurismo, femmine al guinzaglio, quarto d'ora di celebrità, corpi fuori canone, applausi fuori luogo, negritudine e bianchitudine, danze tribali e scienze positive fanno di “Vénus noire” il film più contemporaneo tra quelli visti alla Mostra di Venezia. Kechiche (nato in Tunisia, vive in Francia da quando aveva sei anni) aveva chiuso “Cous cous” su una lunghissima danza del ventre casalinga, improvvisata perché la cucina era in crisi e bisognava intrattenere gli ospiti. Riparte più o meno dallo stesso punto, riproponendo lo spettacolo della Venere ottentotta – anche nelle sue variazioni da salotto libertino, con fallo d'avorio, e da bordello – finché mette vergogna starlo a guardare. Per questo già lo hanno accusato di sfruttar le donne (la superba attrice Yahima Torrès, da sconosciuta a Coppa Volpi con un solo film, se questo è sfruttamento). Il regista non concede una sola inquadratura al sentimento o alla correttezza di quasivoglia tipo. Chiude il film con un altro spettacolino atroce: le danze tribali e l'inchino delle autorità quando i resti straziati di Saartjie – Cuvier finalmente aveva aperto le gambe del cadavere, assieme a uno stuolo di disegnatori, estratto il cervello, messo la vulva sotto formalina, fatto il calco del corpo – nel 2002 tornarono in patria.
HITPARZUT X (NAOMI) di Eitan Zur, con Melanie Peres (Settimana della critica)
“Cose che capitano quando un sessantenne sposa una ventottenne”, dice la mamma ebraica al figliolo che si tormenta perché sul cellulare della mogliettina arrivano messaggi notturni. Sarà lei a risolvere i problemi, quando Ilan – professione astrofisico all'Università di Haifa – fa fuori il terzo incomodo, giovane e bello. Per liberarsi del cadavere, niente di meglio che seppellirlo in una tomba già occupata. Noir tra gente per bene, ben girato e ben scritto, da un regista al suo primo film. Apprendistato: la serie “BeTipul”, ovvero l'originale di “In Treatment”.
POTICHE di François Ozon, con Catherine Deneuve (Venezia 67)
“Se saprai sopportare tutto questo, tu sarai segretaria, figlia mia”. La parodia di “If” (by Rudyard Kipling) è uno tra i mille spassi della commedia firmata Barillet e Grédy, i Garinei e Giovannini di Francia. I telefoni sono rivestiti di velluto, gli operai sequestrano il padrone, interviene la consorte Catherine Deneuve, che si presenta ai cancelli tutta ingioiellata: “E' merito loro se li possiedo, lasciamo che se li godano anche loro”. Anche il sindacalista più incallito applaude.
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