Maggioranza Chiassosa
Perché Berlusconi non si fida del pernacchio elettorale leghista
Umberto Bossi fa molto chiasso e conferma il proprio stile politico, fondato sulla boutade (ieri le canottiere, oggi le pernacchie, sempre toni perentori). Ma la china presa dalla maggioranza di governo è pericolosa, e nel Pdl cercano di decodificare l'intemperanza leghista. Ne emerge il sospetto che Bossi voglia le elezioni sperando, sì, che vadano bene per tutti, ma coltivando pure una riserva esiziale per il Cavaliere.
Umberto Bossi fa molto chiasso e conferma il proprio stile politico, fondato sulla boutade (ieri le canottiere, oggi le pernacchie, sempre toni perentori). Ma la china presa dalla maggioranza di governo è pericolosa, e nel Pdl cercano di decodificare l'intemperanza leghista. Ne emerge il sospetto che Bossi voglia le elezioni sperando, sì, che vadano bene per tutti, ma coltivando pure una riserva esiziale per il Cavaliere: se vanno male, il capo della Lega è già pronto a un governo di unità nazionale guidato da un premier che non si chiami Silvio Berlusconi.
Nel giorno in cui il Cav. calendarizza il proprio atteso intervento in Parlamento per il 30 settembre e conferma di voler “continuare a governare”, l'alleato nordista interviene per il terzo giorno consecutivo terremotandone la strategia che punta a recuperare l'autosufficienza parlamentare attraverso complicate manovre di Palazzo (piccoli acquisti) e che, in prospettiva, rivela l'obiettivo di stabilire un disorganico rapporto con l'Udc (e, chissà, con Fini). La domanda è: perché Bossi si agita proprio adesso e con rinnovata intensità? Secondo alcune indiscrezioni raccolte dal Foglio, Berlusconi, attraverso i contatti di Gianni Letta con il Quirinale, si sarebbe convinto che Giorgio Napolitano – contrarissimo al voto “a breve” – potrebbe invece dimostrarsi più disponibile a concedere l'appuntamento con le urne nella primavera del 2011. Una tempistica favorevole al Pdl che, nei mesi a venire, sarebbe messo nelle condizioni di tentare un recupero almeno parziale dei propri eletti (oltre alla ormai famosa “legione straniera”) alla Camera. Per questo motivo – e anche per guadagnare tempo sull'iperattivo Bossi – il premier ha deciso di intervenire in Parlamento soltanto il 30 settembre, con una risoluzione da mettere ai voti e, dunque, forse, senza il ricorso alla questione di fiducia.
Ma l'operazione berlusconiana non corrisponde ai calcoli di vantaggio leghisti se è vero, come pare, che, qualora si votasse in questi mesi, le urne consegnerebbero a Bossi una Lega al 18 per cento capace di superare il Pdl in tutto il nord. Per Bossi l'alternativa è tra quello che anche Giulio Tremonti ha privatamente definito “un governicchio” e una nuova tornata elettorale in grado di consegnargli la golden share del centrodestra e potenzialmente della legislatura. Si tratta di ragionamenti, e timori, diffusi nel Pdl, dove, come sempre capita in questi casi, fa capolino Tremonti nelle vesti del complottardo. La girandola dei soliti sospetti si fa persino più esplicita che in passato. Secondo le malizie di Palazzo, una situazione di ingovernabilità al Senato – probabile, secondo certi calcoli, in caso di elezioni – porterebbe a una maggioranza sostenuta dalla Lega e allargata al Pd: un equilibrio che incoronerebbe presidente del Consiglio l'attuale ministro dell'Economia (da segnalare: Bersani ieri per la prima volta ha accennato all'ipotesi elettorale). D'altra parte né a Bossi né a Tremonti interessa un governo tecnico da sostenere in questa legislatura.
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