Sulzerberger: “Un giorno o l'altro non stamperemo più il nostro giornale”

Così il New York Times diventa social

Marco Pedersini

Il New York Times sta sviluppando un proprio servizio di social news, con la collaborazione dell'incubatore tecnologico Betaworks. Al quotidiano americano ci stanno lavorando da sei mesi e sperano di poterlo lanciare entro la fine del 2010 – inizialmente sarà un'applicazione per iPad, e poi “forse, a un certo punto, sarà introdotta anche una versione sul web”. Nel frattempo l'indirizzo, News.me, è gia pronto e accoglie il visitatore solo con un logo criptico, che ricorda il favo di un alveare.

    Il New York Times sta sviluppando un proprio servizio di social news, con la collaborazione dell'incubatore tecnologico Betaworks. Al quotidiano americano ci stanno lavorando da sei mesi e sperano di poterlo lanciare entro la fine del 2010 – inizialmente sarà un'applicazione per iPad, e poi “forse, a un certo punto, sarà introdotta anche una versione sul web”. Nel frattempo l'indirizzo, News.me, è gia pronto e accoglie il visitatore solo con un logo criptico, che ricorda il favo di un alveare.
    Il mondo delle api è qualcosa di molto simile alle “social news”, in cui, una volta iscritti a un servizio, si possono proporre notizie e articoli, che poi gli altri utenti valutano. Più persone giudicano l'articolo interessante, più viene messo in rilevanza nella pagina del sito. Col passare del tempo, poi, viene pian piano abbassato nella gerarchia, nonostante il gradimento, per fare spazio a notizie più recenti.

    L'idea è molto simile a quella adottata da Google News,
    i cui utenti possono scegliere di filtrare le notizie a proprio piacimento, per potere leggere subito quelle a cui (probabilmente) sono più interessati. Anche il Los Angeles Times, con il servizio Newsmatch, ha dato ai propri lettori la possibilità di personalizzare la pagina principale del sito del quotidiano. Secondo uno studio di Pew Internet, il 75 per cento delle notizie “consumate” su Internet negli Stati Uniti sono scambiate attraverso i social network o via e-mail. Questo perché agli amici è possibile quello che gli algoritmi più avanzati non riescono a fare: consigliare una notizia che a cui quasi sicuramente sei interessato. A conferma di quello che sostiene Jay Rosen, professore di giornalismo della New York University, secondo il quale “non esiste il sovraccarico di notizie, ma semplicemente un fallimento nei filtri che le veicolano”.

    Il New York Times, tra gli altri, ha cercato rimediare all'inconveniente progettando un sistema che si polarizza attorno ai gusti personali del lettore – un carattere esplicitato perfino nell'indirizzo internet, “news.me”. L'obiettivo è trovare un sistema ibrido, capace di erodere le fondamenta di Facebook e degli altri social network, senza però far scadere la qualità del prodotto editoriale (il New York Times non può avere la credibilità di un blog qualsiasi). Ieri il proprietario del quotidiano newyorkese, Arthur Sulzerberger Jr., ha previsto che “un giorno o l'altro non stamperemo più il nostro giornale”. Forse il termine del 2015, avanzato da alcuni, è troppo stretto, ma intanto ci si attrezza per evitare ingenuità come quelle commesse negli anni Novanta, quando l'editoria si era consegnata senza troppe remore al web, un peccato originale che ancora tiene in scacco il mercato delle notizie. Bisogna calibrare bene i nuovi strumenti, per evitare un eccesso di personalizzazione (che andrebbe a creare delle “tribù” che non sanno dialogare tra di loro) e di intrusione nella privacy degli utenti, i cui comportamenti sono sempre più spiati. Così facendo, il New York Times potrebbe trovare, secondo il suo motto, un nuovo canale per le notizie che meritano di essere pubblicate.