La Mancuso ci racconta i film del Festival di Venezia

Attori che recitano senza aspettare l'aiuto della musica

Mariarosa Mancuso

Nel cinema di Bollywood gli innamorati non si baciano, al massimo la prima attrice cade nella fontana e danza per dieci minuti con il sari bagnato. Questo non impedisce di ambientare metà film in un salone per massaggi, dove con un piccolo extra il cliente ha diritto al “lieto fine”. Lavora di mano una ragazza britannica, a Bombay per ritrovare il padre indiano che dopo tanti anni si è rifatto vivo.

Leggi Corti imperdibili, gente che lavora nell'ombra e una regista bravissima

    THAT GIRL IN YELLOW BOOTS di Anurag Kashiap (fuori concorso)
    Nel cinema di Bollywood gli innamorati non si baciano, al massimo la prima attrice cade nella fontana e danza per dieci minuti con il sari bagnato. Questo non impedisce di ambientare metà film in un salone per massaggi, dove con un piccolo extra il cliente ha diritto al “lieto fine”. Lavora di mano una ragazza britannica, a Bombay per ritrovare il padre indiano che dopo tanti anni si è rifatto vivo. Gran bel melodramma con divertenti scene tra i burocrati, che ruttano in servizio e trattano l'inglesina come da noi vengono trattati gli extracomunitari.

    DREI di Tom Tykwer (Venezia 67)
    A memoria nostra, è il primo Kindle visto in un film (il romanzo è Moby Dick). Lo legge uno del terzetto, composto da un marito (con cancro ai testicoli), da una moglie che non telefona mai quando ritarda, da un bel giovanotto (scienziato nel campo delle staminali) che rimorchia ovunque, in piscina o al campetto di calcio. Pasticcio sentimentale con qualche buona battuta. Da “Saremo la prima coppia divorziata in cui nessuno vorrà l'affidamento dei figli” a “Io non vorrei vietare il velo, vorrei vietare tutto l'islam”.

    ANGÈLE ET TONY di Alix Delaporte (Settimana della critica)
    Questi sì che sono numeri primi solitari, presi a schiaffi dalla vita: lei è stata in galera, lui vive con la mamma e pesca sogliole in Normandia. Eppure non stanno impassibili, in attesa di un aiutino dalla colonna sonora. Recitano, come chi ha imparato a farlo alla Comédie Française. Da lì arriva Grégory Gadebois, impacciatissimo nella prima scena, quando risponde all'annuncio matrimoniale: a lei serve un marito in fretta, per riavere il figlio che ora vive con i nonni. Troverà prima un lavoro, a casa del pescatore. Finale tra i granchi, regista bravissima.

    OVSYANSKI (SILENT SOULS) di Aleksei Fedorchenko (Venezia 67)
    Il viaggio con cadavere è un sottogenere che riesce anche quando si vedono molti paesaggi e si ascoltano lunghi silenzi. Odiamo entrambe le cose. Sapere che Miron, marito della defunta Tanya, e l'accompagnatore Aist appartengono all'antica etnia dei Merja – popolo ugrofinnico che viveva nella regione attorno a Mosca – non migliora il giudizio preventivo. Con il senno di poi, il film del regista siberiano è molto bello, le digressioni etnografiche su matrimoni e funerali non spiacciono. Gli attori – perfino gli uccellini nella gabbietta e una macchina per scrivere tuffata nel lago ghiacciato – catturano l'attenzione. Il rito per le donne prevede ornamenti e fiocchetti segreti, cremazione, ceneri nel fiume.

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