“I veri falchi sono i cofondatori”
I numeri del Cav. ancora non tornano, e con Fini si continua a negoziare
Troppa fretta, qualche mossa malaccorta, fili di strategie che si contraddicono tra loro attorcigliandosi pericolosamente attorno a Palazzo Grazioli. Non fosse intervenuto Giorgio Napolitano a frenare l'irrequietezza elettorale della Lega (“il ricorso al popolo non è il balsamo per ogni febbre”), rassicurando anche il Cavaliere inquieto, la giornata di ieri avrebbe segnato un pericoloso arretramento dei negoziati.
Troppa fretta, qualche mossa malaccorta, fili di strategie che si contraddicono tra loro attorcigliandosi pericolosamente attorno a Palazzo Grazioli. Non fosse intervenuto Giorgio Napolitano a frenare l'irrequietezza elettorale della Lega (“il ricorso al popolo non è il balsamo per ogni febbre”), rassicurando anche il Cavaliere inquieto, la giornata di ieri – con la falsa partenza del gruppo di responsabilità nazionale – avrebbe segnato un pericoloso arretramento dei negoziati che la diplomazia berlusconiana (nonostante Berlusconi?) ha faticosamente messo in campo da circa due settimane. Gianni Letta e un po' Angelino Alfano, con la sponda esterna di alcuni vecchi e fedeli amici del premier e di ambienti moderati vicini a Fini, rappresentano il meccanismo ordinato che si muove all'ombra di un Berlusconi un po' troppo impaziente nel rivelare mosse tattiche che – sostengono nel suo entourage – “vanno invece coltivate come delicate e preziose piantine”.
Dalla confusione che sembra ispirare la scena all'interno del Palazzo, emerge un negoziato ancora non del tutto decifrabile con un Gianfranco Fini sospettato di coltivare propositi vendicativi ma pur sempre permeabile alle buone ragioni del realismo politico che impongono una tregua con Berlusconi. Si parla del nuovo legittimo impedimento e della prospettiva di un lodo Alfano costituzionale: di una convergenza preventiva sui famosi cinque punti programmatici cui l'ex leader di An potrebbe aggiungere qualcosa di proprio pugno. Le voci intorno a uno scambio con la riforma elettorale, che coinvolgerebbe il Pd, non trovano fondamento ma soltanto una reazione scomposta della Lega che potrebbe accettare qualsiasi cosa ma non un ritorno al mattarellum. L'idea piace ai settori finiani (è da lì che si è diffusa), ma non è praticabile per il Pdl e il suo alleato nordista. Eppure un negoziato, parallelo alla strategia dell'autosufficienza (che il Cav. orienta senza intermediazioni), esiste.
Il dubbio di Fini (condiviso da Berlusconi) è che non ci si possa fidare. L'aspetto caratteriale è ancora determinante nelle rispettive risoluzioni. Più di un dirigente del Pdl è stato sentito sospirare: “Adesso basta con la storia dei falchi e delle colombe. Gli unici veri falchi sono Fini e Berlusconi”. Secondo questa corrente di pensiero, il premier avrebbe accelerato sulla strada del nuovo gruppo parlamentare, affidato a Francesco Nucara, animato da un sentimento di rivalsa nei confronti dell'ex leader di An: prima di raggiungere una tregua vorrei confermare la solidità della maggioranza al netto di Fini. Il quale, non diversamente dal Cavaliere, fa nel frattempo trapelare la possibilità di non allearsi con il Pdl alle prossime elezioni amministrative (si vota in decine di piccoli e medi comuni oltre che a Milano, Torino e Napoli). Ma una crisi di governo non rientra nei piani di Fini né in quelli di Berlusconi ed è su questa convergenza di interessi che Letta, e molti altri, fondano l'ennesimo tentativo di tregua tra i duellanti. In termini politici e istituzionali la strada è aperta. Bossi scalpita, i sospetti non si diradano, ma le parole di Napolitano suonano come un autorevole avallo: “La stabilità politica è un valore”.
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