Sindrome bipolare

Dalla guerra siciliana tra il Cav. e Fini può nascere la pace a Roma

Salvatore Merlo

Nel giorno in cui Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini sembrano costretti a un accordo sulla giustizia da cui può discendere un più articolato patto di legislatura, come spesso accade, la politica siciliana rimescola gli equilibri e dispone sulla scena nazionale una sorta di nuovo ordine che – per paradossale che sia – torna comodo sia al Cavaliere sia al presidente della Camera.

    Nel giorno in cui Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini sembrano costretti a un accordo sulla giustizia da cui può discendere un più articolato patto di legislatura, come spesso accade, la politica siciliana rimescola gli equilibri e dispone sulla scena nazionale una sorta di nuovo ordine che – per paradossale che sia – torna comodo sia al Cavaliere sia al presidente della Camera. I duellanti tessono una pace a Roma e litigano a Palermo. Che succede? Martedì prossimo il governatore siciliano Raffaele Lombardo, che ieri mattina ha avuto un lungo colloquio con Fini, annuncerà la formazione di un nuovo governo regionale sostenuto da un'inedita maggioranza composta da Pd, Api, finiani, e da quella parte minoritaria dell'Udc che in Sicilia non risponde a Totò Cuffaro ma al leader Pier Ferdinando Casini e al suo plenipotenziario Gianpiero D'Alia. Un esecutivo che gli ambienti dell'Mpa già chiamano “governo del presidente”: saranno confermati i sei assessori tecnici, tra cui il magistrato Massimo Russo alla Sanità, cui saranno aggiunti – a sostituire i politici – altri sei tecnici tra cui un altro esponente della magistratura.

    Quali gli effetti nazionali? Il premier riconquista la maggioranza a Montecitorio al netto dei voti finiani per il passaggio organico dei cuffariani nel centrodestra e paradossalmente ritrova l'unità del suo Pdl nell'isola con la pace forzata tra Gianfranco Micciché e l'ala del partito cosiddetta “lealista”. Il presidente della Camera – invece – rafforza il proprio asse, anche nazionale, con Lombardo ed entrando al governo isolano con Rutelli e Casini aggiunge cartucce al fumoso (ma sempre meno) progetto terzopolista. Una mossa propedeutica non soltanto a un futuribile (e ancora evanescente) ritorno alle urne: le nuove alleanze siciliane servono soprattutto come velata minaccia da utilizzare per alzare il prezzo nei negoziati con Berlusconi. I siculo-finiani Pippo Scalia e Carmelo Briguglio, ieri pomeriggio, ammiccavano ricordando un vecchio luogo comune della politica: “Sapete cos'è la Sicilia? E' un laboratorio di nuove alchimie”.

    I sondaggi del terzo polo, e quelli di Fini,
    da dopo Mirabello, sono in netto rialzo e tutto – compresa “l'alchimia” siciliana – può essere speso al tavolo del negoziato con Berlusconi. Trattative ancora incerte, sottoposte agli imprevedibili sbalzi d'umore dei leader e alle imboscate dei rinfocolatori. Trattative che, tuttavia, da alcuni giorni hanno subìto un considerevole salto qualitativo. Alcune rivelazioni imprecise dei quotidiani, e l'apertura di un canale esplicito tra Fini e Berlusconi, ieri hanno reso inutile il piano della diplomazia finiana. Silvano Moffa e Pasquale Viespoli avevano stilato un documento di pace rivolto ai duellanti, i cui contenuti erano già noti ai leader, che avrebbe raccolto in calce le firme di una trentina di parlamentari finiani e pidiellini tra cui alcuni maggiorenti come Sandro Bondi, Franco Frattini e Gianni Alemanno. L'operazione è per il momento sospesa, forse non cancellata: l'appello alla pace potrebbe ricomparire sotto forma di un esplicito patto di sistema, ma solo dopo il discorso di Berlusconi del 28 settembre. D'altra parte il Cavaliere, al netto di certe intemperanze, aveva anche manifestato la disponibilità a far seguire al documento una propria dichiarazione distensiva nei confronti del presidente della Camera. Chissà. Di sicuro è stata siglata una moratoria sulle incompatibilità dei finiani nel partito e nelle commissioni parlamentari. I probiviri si riuniscono oggi, ma il procedimento andrà per le lunghe e non è escluso si adotti la linea morbida. Il fuoco dei negoziati riguarda la giustizia. Giulia Bongiorno e Niccolò Ghedini ieri hanno parlato a lungo, facendosi vedere dai cronisti, a Montecitorio. Delle trattative, Ghedini ha poi informato il premier, presente Angelino Alfano. Fini ha confermato a Gianni Letta di voler sostenere i cinque punti programmatici dell'azione di governo, compresa la riforma della giustizia e il lodo Alfano costituzionale. Si deve però trovare il sistema di prolungare il legittimo impedimento su cui grava, a dicembre, la scure della Consulta (che potrebbe cassare la legge). I sistemi tecnici esistono e se ne stanno occupando i due onorevoli e avvocati, ma più importante della tecnicalità è il risultato politico ottenuto dalla regia di Letta: un accordo adesso è possibile.

    Sono due le strade che Ghedini e Bongiorno studiano per evitare che la Corte costituzionale faccia decadere il legittimo impedimento: una modifica minimale dell'articolato di legge che sollevi la Consulta dall'obbligo di giudicare o, in alternativa, la presentazione di una istanza di rinvio rivolta alla Corte da far seguire all'approvazione del lodo Alfano costituzionale in uno dei due rami del Parlamento. Ma la novità politica travalica gli aspetti tecnici la cui risoluzione è demandata ai rispettivi esperti giuridici di Fini e Berlusconi. Nonostante la coltre di sospetti incrociati e cattivi umori (berlusconiani) che grava sui negoziati, la strategia dell'appeasement, assecondata autorevolmente dal Quirinale, ieri ha segnato un punto anche al netto dei nuovi equilibri siciliani. Se appare un po' schizofrenico tessere la pace a Roma per sancire un divorzio a Palermo, tuttavia le mosse siciliane hanno il risultato paradossale di favorire le mosse della diplomazia romana.
    Il nuovo governo di Raffaele Lombardo in Sicilia suona come una sconfitta di Gianfranco Micciché, risospinto suo malgrado verso il Pdl lealista. Non per Berlusconi. Il premier, rappresentato a Palermo dalla corrente pidiellina che fa riferimento ad Angelino Alfano e alla tutela nobile di Renato Schifani, era già all'opposizione e dal rimescolamento guadagna un bel pezzo dell'Udc siciliana: dei dieci deputati regionali, sette sono fedeli a Totò Cuffaro. I cuffariani, che forse anche a Roma costituiranno un rapporto con la Dc di Giuseppe Pizza, in Sicilia faranno opposizione con il centrodestra; mentre a Roma si preparano a sostenere il governo. Il premier avrebbe così gli agognati 316 voti. Il risvolto negativo è che la scissione in vista all'interno dell'Udc irrita quel Pier Ferdinando Casini con il quale un po' si era negoziato sul serio e con il quale, soprattutto, prima o poi bisognerà tornare a fare i conti. Se l'obiettivo berlusconiano è quello di raccogliere i consensi necessari alla riforma della Giustizia e al lodo Alfano, quella di inimicarsi Casini non rientra tra le migliori mosse possibili. Il leader centrista ne è consapevole, sa di poter recuperare spazio di manovra sul tema della giustizia, un terreno sul quale potrebbe anche star meditando qualche ritorsione. E' forse per questo che Casini ha voluto entrare come componente nella commissione giustizia della Camera?

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.