Toc toc, c'è vita nel movimento?
Il Movimento per la Vita in Italia è fermo. Ingessato. Quasi inesistente. Mi spiego meglio. Non che manchino persone valorose, coraggiose, con idee e buona volontà. Ci sono, qua e là. Neppure mancano volontarie e volontari attivissimi, straordinari, che rendono il loro servizio, ogni giorno, nei Centri aiuto alla vita, dando speranza e salvando molti bambini dalla morte. Quello che manca è un movimento culturale per la vita forte, che sappia intervenire, dire la propria nel dibattito pubblico, quando se ne parla, sui giornali, in televisione, nelle strade.
Il Movimento per la Vita in Italia è fermo. Ingessato. Quasi inesistente. Mi spiego meglio. Non che manchino persone valorose, coraggiose, con idee e buona volontà. Ci sono, qua e là. Neppure mancano volontarie e volontari attivissimi, straordinari, che rendono il loro servizio, ogni giorno, nei Centri aiuto alla vita, dando speranza e salvando molti bambini dalla morte. Quello che manca è un movimento culturale per la vita forte, che sappia intervenire, dire la propria nel dibattito pubblico, quando se ne parla, sui giornali, in televisione, nelle strade. Chi lo ha mai visto? Si parla ormai da anni di bioetica, e il Movimento per la Vita in quanto tale dimostra la sua estrema debolezza. Perché? Perché in America, ma anche in altri paesi europei, il mondo pro life appare più attivo, dinamico, giovane? Anzitutto vi è un motivo di carattere generale: da troppi anni il mondo cattolico fatica a capire l'importanza di una battaglia per la vita. Già all'epoca della legge 194 e poi del referendum, il mondo pro life italiano era diviso, ma soprattutto, solo. Erano gli anni in cui buona parte delle gerarchie ecclesiastiche e del mondo cattolico “progressista” ritenevano inutile e perdente la battaglia. In cui vigeva l'idea secondo cui è meglio “cercare ciò che unisce piuttosto che ciò che divide”, che significò poi farsi da parte, per non disturbare. Per tanti anni nello stesso mondo cattolico certi temi sono stati tabù. Essere del Movimento per la Vita significava rimanere emarginati, guardati come dei matti, residui del passato, non solo rispetto alla cultura radicale e di sinistra, ma anche nel mondo cattolico stesso. Il concetto di “valori non negoziabili” non godeva buona stampa: tutto nel clima del post Concilio permanente sembrava negoziabile, anzitutto a molti cattolici. Perché litigare su queste questioni “marginali”, si diceva. “Altri sono i problemi”… Oggi che ci troviamo nell'inverno demografico più nero, forse qualcuno si ricrede… Oggi, grazie al referendum sulla legge 40, promosso dai Radicali, e all'azione di personaggi come il cardinale Camillo Ruini e Dino Boffo, in campo cattolico, e Giuliano Ferrara in campo laico, qualcosa sta cambiando.
Ma i problemi del Movimento per la Vita italiano rimangono, e sono enormi. Mi permetterò di elencarne alcuni, anche se so che scontenterò molti, anche amici, che mi rimprovereranno di non aver capito, oppure di aver detto cose in parte giuste, ma da tener segrete, “tra di noi”. Eppure, dopo averle sentite e risentite, viste e riviste, a me sembra che occorra dirle. Oportet ut scandala eveniant, se gli scandali non sono fini a se stessi, ma servono a rilanciare un dibattito ormai sepolto, e a portare linfa nuova, vitalità nuova. Il primo di questi motivi interni è sicuramente una presidenza troppo lunga. Lungi da me negare a Carlo Casini i suoi meriti. Non ritengo però possibile che certe cariche diventino quasi vitalizie, senza conseguenze per tutti. L'attuale presidente del Movimento è in carica da ben 20 anni, cioè dal lontano 1991. Le presidenze troppo lunghe, inevitabilmente, soffocano l'attività, paralizzano l'innovazione e la creatività. Anzitutto perché si crea intorno a esse un nocciolo duro che tende a perpetuarsi e a escludere nuove forze e nuove soluzioni. In secondo luogo perché anche la persona più brillante del mondo non può avere, dopo tanti anni, la voglia, lo slancio, le idee, il tempo, dei primi anni. Soprattutto se l'età avanza e le cariche, numerose, si sovrappongono. Soprattutto se colui che riveste quel ruolo, invece di delegare il più possibile, per creare sinergie e responsabilizzare nuove persone, accentra il più possibile.
L'altro problema della presidenza attuale è poi la sovrapposizione tra la militanza pro life e l'appartenenza a un partito (sovrapposizione che per esempio Paola Binetti ha evitato, dimettendosi da presidente di Scienza e Vita prima di entrare in politica, o che si potrebbe comunque scongiurare dimettendosi dalla politica, qualora da lì si provenga, una volta eletti presidenti del MpV). In primo luogo, infatti, non sembra realistico poter svolgere nel contempo i compiti tanto gravosi di presidente del Movimento per la Vita italiano e di europarlamentare. In secondo luogo perché l'appartenenza a un partito limita inevitabilmente la libertà d'azione e di parola che dovrebbe caratterizzare un incarico così delicato come quello di guida dei pro life italiani. Recentemente per esempio l'Udc, partito in cui milita Carlo Casini, si è schierato a fianco della Bonino piemontese, Mercedes Bresso, senza che la posizione del presidente del MpV risuonasse forte e sicura: non possumus! Analogamente Rocco Buttiglione, presidente dell'Udc, ha recentemente dichiarato che i pro life italiani si sarebbero sbagliati a prendere la posizione che presero nel 1981, senza che Carlo Casini contraddicesse pubblicamente il suo superiore di partito, al fine di tutelare l'onore di chi non ritiene assolutamente vere le parole del politico-filosofo ondivago per eccellenza. In terzo luogo l'appartenenza del leader del MpV italiano a una fazione, limita la sua stessa capacità di manovra, che dovrebbe essere invece a 360 gradi: come chiedere un appoggio a destra e a manca, se colui che chiede è già schierato? In questo campo, purtroppo, le appartenenze politiche vengono spesso prima della battaglia per il bene e la verità. Infine, l'ultimo inconveniente della sovrapposizione tra politica e presidenza del Movimento, sta nella mentalità che può (non che deve) venirsi a creare. Uno dei problemi principali del MpV italiano è infatti che ha cessato di portare avanti battaglie di testimonianza, culturali, capaci di attrarre ed educare i giovani agli altissimi valori del rispetto della vita. La battaglia pro life è divenuta quasi esclusivamente, con l'appoggio di qualche ecclesiastico molto politicante, un affare di politica e di parlamenti: incontri tra Casini, qualche vescovo e altri politici di alto rango. Senza coinvolgere più di tanto il movimento stesso: “Ce la vediamo noi”. In questi incontri, alla fine, si è spesso ragionato da politici: io cedo qui, tu cedi là… così di compromesso in compromesso si è dimenticato che alle nuove leve, alle generazioni che crescono, il Movimento non deve dare solo leggi che siano il “meno peggio possibile”, ma anche valori non negoziabili, verità complete per cui valga veramente la pena battersi.
Il Pontefice Benedetto XVI lo ha fatto capire in molte occasioni, e difficilmente certe posizioni del MpV oggi possono dirsi compatibili con documenti magisteriali assai chiari e ben poco “diplomatici” (vedi l'“Evangelium vitae” e la “Donum vitae”). Pensiamo al movimento pro life americano: è forte perché accanto alla strada della politica, che ci vuole, che non va trascurata, non cessa di dire tutta la verità, e nient'altro che la verità (almeno per un pro life). Invece in Italia accade che proprio nel MpV questa mentalità abbia portato a dissociazioni mentali inconcepibili. Mi è capitato di sentire: “Sì, è vero, hai ragione a dire così, ma ora è politicamente inopportuno dirlo, come ha spiegato bene Casini”. Portare la battaglia quasi solo nel campo della mediazione politica ha generato un ulteriore indebolimento: perché la mediazione politica la può perseguire soltanto qualcuno, soltanto chi rappresenta il movimento ai suoi vertici. Ecco così immobilizzata la base, ma anche il resto della dirigenza. Mentre si consumavano mediazioni qui e incontri pre-parlamentari là, dibattiti col vescovo di turno e col politico di turno, quasi sempre a opera di un solo interlocutore, il presidente nazionale, o qualche suo beniamino, il pro life medio non poteva che dirsi: “E io che faccio?”. E così il pro life di tutti i giorni, magari del movimento da anni e anni, si è trovato quasi senza possibilità di agire, senza supporto.
Lo dimostrano tantissimi fatti. Uno per tutti. In tanti anni dall'interno del Movimento per la Vita non sono sorti né pensatori né opere pro life di rilievo. Anche i movimenti si sono fatti portatori sempre e soltanto delle stesse pubblicazioni, se possibile del presidente e solo sue. Non si sono valorizzati i giovani, non si sono valorizzate le penne abili, gli oratori interessanti e carismatici, con il risultato che alla fine girano sempre le solite, le medesime facce (o i più generosi o i più “carrieristi”). Eppure, compito della guida di un movimento è anzitutto creare spazi per altri, che possano proseguire la battaglia intrapresa. E' creare una classe dirigente valida, il più possibile ampia e capace.
Tanto altro ci sarebbe da dire, ma voglio concludere con ciò che a mio avviso ha fatto traboccare il vaso: il continuo stillicidio di espulsioni dal movimento (come se ci si potesse permettere di farlo). Negli anni ho visto lasciare personalità e intelligenze troppo numerose e troppo importanti: Angelo Francesco Filardo, Maria Paola Tripoli, Mario Palmaro e tanti altri della direzione nazionale. Ho visto molte persone che avrebbero potuto essere valorizzate per la loro intelligenza, farsi piano piano da parte, perché quasi si temeva facessero ombra. Ma la cosa più grave è che proprio in questi giorni scade l'ultimatum lanciato dalla direzione centrale del MpV a personaggi che sono la storia del movimento stesso (benché nelle rievocazioni ufficiali siano stati cancellati, come ai tempi di Stalin, quando si sbianchettavano le foto). Mi riferisco all'alternativa che è stata imposta dalla presidenza nazionale ad alcuni membri del MpV italiano: o rinnegate “Verità e vita” – un altro gruppo pro life italiano – o uscite dal movimento. Scomunicati latae sententiae. L'assurdo è che questo ultimatum è stato lanciato contro personaggi come Mario Paolo Rocchi, Silvio Ghielmi e Giuseppe Garrone. Il primo è stato nientemeno che socio fondatore del primo Centro aiuto alla vita in Italia, a Firenze nel 1975; socio fondatore del MpV, suo primo tesoriere ai tempi dell'autonomia finanziaria e co-ideatore del progetto Gemma, una delle più nobili attività concrete del movimento. Il secondo, Silvio Ghielmi, è stato cofondatore e per anni gestore di tale progetto. Il terzo, Giuseppe Garrone, è stato anch'egli cofondatore del progetto, fondatore del numero verde SOS Vita, e riscopritore della Ruota degli esposti. E' la direzione attuale del movimento che decapita parte essenziale della sua storia. Come già accadde con la messa in disparte, poco gentile, del fondatore e primo presidente, Francesco Migliori. Per un pro life medio, di tutti i giorni, è veramente troppo. Per cui non può che auspicare il ritorno di un po' di democrazia interna, vera. Per dirla in breve: ci vorrebbero meno personalismi, e le primarie, per rilanciare un movimento qua e là eroico, ma nel complesso agonizzante.
Il Foglio sportivo - in corpore sano