I veri piani di Marchionne sulla Fiat spaccata in due
“Non si può più vivere nel mondo delle favole”, ammonisce John Elkann. Sergio Marchionne, maglioncino blu d'ordinanza indosso, annuisce. Certo, la giornata “storica” della scissione in casa Fiat – tra le attività auto e il resto, ossia i camion di Iveco e le macchine agricole di Cnh – si prestava alla retorica del “grande giorno”, disertato dall'ex presidente Luca Cordero di Montezemolo.
“Non si può più vivere nel mondo delle favole”, ammonisce John Elkann. Sergio Marchionne, maglioncino blu d'ordinanza indosso, annuisce. Certo, la giornata “storica” della scissione in casa Fiat – tra le attività auto e il resto, ossia i camion di Iveco e le macchine agricole di Cnh – si prestava alla retorica del “grande giorno”, disertato dall'ex presidente Luca Cordero di Montezemolo, ancora ai vertici di Ferrari, società in cui Marchionne vuol risalire al 90 per cento, riacquistando quella quota venduta ad Abu Dhabi negli anni più bui. Ma al capo azienda del Lingotto “il grande giorno” evoca pensieri alla Mordecai Richler, nota qualche osservatore. Al cronista che gli ricorda l'intervento di un sindacalista che gli contestava di esser pagato 400 volte di più del salario più basso dell'azienda, Marchionne risponde così, senza finti pentimenti: “Ma quante di queste persone sono disposte a fare questa vita? Mi chieda quando sono andato in ferie l'ultima volta, poi ne parliamo”.
Al giornalista della Stampa che gli domandava se abbia ancora senso puntare sull'auto, l'ad replica: “Da ragazzo mi facevo domande di questo tipo, perché ero appassionato di metafisica, materia di cui non capivo niente”. E a chi lo interrogava se l'Italia sia pronta per la cogestione alla tedesca, il manager risponde: “Difficile, perché qui le sigle sindacali sono troppe”.
Non c'è spazio per la festa, insomma. Anche perché, a far riportare i piedi per terra ad azionisti e commentatori, bastano i dati, pessimi, delle vendite auto in Europa. L'ad del Lingotto non si fa alcuna illusione sulla ripresa delle vendite delle utilitarie di Mirafiori prima dell'aprile del 2011. L'àncora di salvezza è Chrysler, in cui Fiat potrà salire al 25 per cento già entro l'anno, con l'immatricolazione negli Usa della “500” omologata per le vendite oltre oceano. Ma sia per la Fiat che per la nuova Industrial (quotata in Borsa nel prossimo gennaio) la soluzione sta in nuove alleanze, “più facili per entrambe dopo la scissione”. Nell'attesa Fiat si è dotata ieri di regole antiscalata per il consiglio, anzi per lo stesso Marchionne, con l'assoluta libertà d'azione per contrastare eventuali manovre ostili.
Ma bando alle paure, nel giorno dei numeri. Che, per la verità, non dicono granché sul fronte dei debiti industriali, di cui è stato reso noto solo il “target” di 5 miliardi, da dividersi alla pari tra le due società sorelle. Ben diversa, invece, sarà la ripartizione della liquidità, “commisurata alle rispettive necessità finanziarie”: l'auto, che va male e non riprenderà quota per almeno sei mesi, sarà dotata di 10 miliardi di cassa ma anche di 9 miliardi di bond, cioè debiti da ripianare nel tempo. Camion, macchine movimento terra e per l'agricoltura – quindi Iveco e Cnh – se la caveranno con soli 3 miliardi di liquidità, sufficienti per business che promettono grandi soddisfazioni ai vecchi soci. L'auto brucerà ancora quattrini, in attesa di dare un valore alla quota in Chrysler, al momento della quotazione della sorella americana a Wall Street, la vera carta segreta che permette a Marchionne di giocare una partita ad armi pari nel mondo delle quattro ruote: non solo utilitarie, ma anche Ferrari, una “grande Alfa” (“e non m'importa quel che fa Volkswagen”) e le Chrysler sdoganate in Europa con il marchio Lancia. Basterà? Alle agenzie di rating la prima sentenza: un “downgrading” dell'auto sarebbe un rischio mortale.
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